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Congedo paternità, il tasso di utilizzo è più che triplicato dal 2013.


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Crescono i papà che utilizzano il congedo di paternità. Tra il 2013 e il 2022 i padri che si prendono una pausa dal lavoro dopo la nascita di un figlio è più che triplicato, ma il 35% degli aventi diritto ancora non ne usufruisce da qui l’esigenza di nuove campagne di sensibilizzazione. Il quadro emerge dall’elaborazione INPS dei dati raccolti nei propri archivi in occasione del 19 marzo. 

Il congedo di paternità obbligatorio consente ai padri lavoratori dipendenti di assentarsi dal lavoro per 10 giorni ( 20 in caso di parto plurimo ), anche frazionati, dai due mesi prima la data presunta del parto fino ai cinque mesi successivi alla nascita ( o dall’ingresso in famiglia in caso di adozioni e affidamenti ), con il riconoscimento di un’indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione. 

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Introdotto nel 2012, l’utilizzo del congedo è aumentato di anno in anno,  passando dal 19,2% dei padri aventi diritto nel 2013 al 64,5% nel 2023, una crescita che è stata più marcata nei primi anni e più contenuta negli ultimi, con una differenza di soli 0,5 punti percentuali tra il 2023 e il 2022. Si è arrivati così a più di 3 padri su 5 ad utilizzarli, ma con notevoli differenze che dipendono sia dal territorio dove si risiede; sia dalla dimensione aziendale , che dal tipo di contratto lavorativo. Emerge così il profilo del lavoratore tipo che usufruisce maggiormente del congedo. Vive al Nord, ha un contratto di lavoro stabile e un reddito tra i 28.000 € e i 50.000 €.  

Tipologia contrattuale – Tra i lavoratori che usufruiscono maggiormente del congedo, il 70 % ha un contratto a tempo indeterminato, contro un 40 % con contratto a termine e un residuo 20 % con contratti flessibili o stagionali. La stabilità del rapporto si rivela particolarmente incisiva.

Fasce reddituali – Anche il reddito incide sull’godimento del congedo di paternità. L’ INPS registra il tasso di utilizzo più elevato nella fascia di reddito compreso tra i 28.000 e i 50.000 € dove l’ 83% sospende l’attività lavorativa alla nascita del proprio figlio. Con la complessità dei compiti assegnati, e la proporzionale crescita delle retribuzioni sopra la soglia dei 50.000 €, la percentuale scende al 80 %. Ma è con i redditi più bassi, compresi tra 15.000 e i 28.000 €, che la percentuale scende drasticamente al 66 %.

Dimensione aziendale - Anche la dimensione aziendale sembra essere particolarmente incisiva: la percentuale dei padri che ricorrono a tale strumento è doppia tra quanti lavorano in aziende con più di 100 dipendenti (80%), rispetto a chi lavora in aziende con meno di 15 dipendenti (40%).

Divari Nord Sud – L’ uso del congedo di paternità non è omogeneo sul territorio nazionale. Alla base della disomogeneità incidono la struttura dell’occupazione, con particolare riguardo a quella femminile più bassa nelle Regioni del Mezzogiorno, e il consolidarsi di modelli culturali ancora legati a stereotipi di genere. Al Nord, viene utilizzato dal 76% dei padri aventi diritto, una percentuale quasi doppia rispetto quella osservata al Sud e nelle Isole (44%), mentre al Centro lo utilizza il 67% di loro. La regione con la percentuale più bassa è la Calabria, mentre quella in cui il congedo viene usato di più è il Veneto.

Nonostante i segnali positivi che i dati sulla fruizione del congedo di paternità ci mostrano, c’è ancora molto da fare per favorire un’equa condivisione della cura tra madri e padri. Eppure, la genitorialità condivisa tutela diritti fondamentali e migliora il benessere della prole. In questo senso è essenziale investire nel rafforzamento di questa misura per tutti i lavoratori, in quanto contribuisce con effetti concreti a una distribuzione più equilibrata delle responsabilità familiari e della conciliazione vita-lavoro delle donne.