La teorizzazione del burnout risale agli anni ’70, quando il termine fu coniato per descrivere l’esaurimento emotivo dei lavoratori sanitari. Oggi, a più di 50 anni dalla sua teorizzazione, è un fatto conclamato che il burn out è un fenomeno oltre che diffuso anche in preoccupante crescita. In questo contesto, le nuove modalità di lavoro, come lo smart working, e le nuove tecnologie applicate non sempre si rivelano risolutive per ovviare a tali problematiche e, talvolta , possono risultare nocive se non correttamente impiegate.
I dati più recenti rivelano come una quota sempre più consistente di lavoratori abbia sperimentato il burnout, anche in forma latente, e che una quota considerevole di lavoratori è a rischio. Secondo i dati dell’ Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA), raccolti in una ricerca pubblicata a fine settembre in merito alle strategie legislative e non legislative adottate da sei Stati membri dell’UE ( Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Estonia e Spagna ) per affrontare i rischi psicosociali sul posto di lavoro , stress, depressione e ansia rappresentano tra i problemi di salute più comuni legati al lavoro per circa il 45 per cento dei lavoratori interessati.
Burnout, riconoscerlo per evitarlo - Il burnout è una risposta allo stress cronico non correttamente gestito sul lavoro, che si manifesta attraverso tre dimensioni principali: esaurimento, disaffezione lavorativa e senso di inefficacia e di inadeguatezza verso le proprie performance, con conseguente perdita di autostima e possibile riduzione dell’impegno.
Le cause del burnout sono molteplici e includono fattori individuali e sociali. Dal punto di vista organizzativo può manifestarsi per :
1. Sovraccarico di lavoro derivante da eccessive richieste che espongono il lavoratore a un impegno fisico e psicologico rilevante;
2. Ambiguità e conflitto di ruolo quando i compiti sono poco chiari o incoerenti rispetto al ruolo organizzativo ricoperto ;
3. Mancanza di supporto sociale per carenza di sostegno sociale sul lavoro, sia da parte dei colleghi che dei supervisori, che si manifesta anche con la presenza di conflitti interpersonali ;
4. Leadership inadeguata e inefficace, oltre che dannosa o iniqua che non fornisce un supporto adatto ai lavoratori.
5. Orari di lavoro molto lunghi, rigidi, caratterizzati da turni e reperibilità notturne interferiscono con il bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa ;
6. Mancanza di autonomia e influenza sul lavoro con l’impossibilità di influenzare decisioni e modalità di svolgimento del proprio lavoro.
I sintomi spaziano da disturbi fisici e psicosomatici, come problemi gastrointestinali, muscolari e cardiovascolari, a disturbi psicologici ansia, depressione, difficoltà cognitive che trovano la loro espressione nella bassa capacità di concentrazione e memoria o difficoltà nel prendere decisioni.
Il burnout nelle organizzazioni - Il burnout, tuttavia, non ha solo ripercussioni individuali ma incide profondamente anche sulle organizzazioni. I lavoratori colpiti da questa sindrome manifestano maggiore insoddisfazione, minor impegno e prestazioni ridotte e conseguente deterioramento delle performance lavorative e della produttività generale. Inoltre, il burnout è associato a un aumento dell’assenteismo e all’intenzione di abbandonare il posto di lavoro.
Per prevenirlo, è fondamentale un approccio efficace con strategie di prevenzione integrate, attraverso un approccio multidisciplinare e partecipato, su più livelli (individuo, gruppo, leadership, organizzazione), a partire da un’appropriata valutazione dei rischi per costruire ambienti di lavoro più sani, sostenibili.
L’approccio richiede interventi su tre livelli: prevenzione primaria (miglioramento dell’organizzazione del lavoro), secondaria (potenziamento delle risorse individuali) e terziaria (cura e riabilitazione ).
Datori di lavoro e valutazione rischi – L’ art. 28 del D.Lgs. n. 81/2008 obbliga il datore di lavoro a valutare tutti i rischi, compresi quelli da stress lavoro-correlato, che includono il burnout. La valutazione deve essere preventiva, documentata con il DVR e costantemente aggiornata.
Come fare la valutazione del rischio stress lavoro correlato. La Guida INAIL
Per una efficace gestione preventiva di questo fenomeno, è determinante, in aderenza al D.lgs. 81/08, una corretta valutazione dei fattori di rischio psicosociale presenti nell’ambiente di lavoro. Solo attraverso un’analisi approfondita di tali fattori è, infatti, possibile identificare le criticità e sviluppare interventi mirati.
La scheda informativa redatta dall’ INAIL suggerisce una serie di strumenti sviluppati e validati a livello internazionale per la valutazione del rischio da burnout tra cui Maslach Burnout Inventory ( MBI) ; Questionario per la valutazione della sindrome da burnout ( CESQT ) , Oldemburg Burnout Inventory ( OLBI ) ; Copenaghen Burnout Inventory ( CBI ). Sono questionari e prove da somministrare ai dipendenti con il coinvolgimento del medico competente e consentono, oltre ad una prima prognosi, anche una verifica periodica sull’efficacia delle misure adottate.
Quanto alle azioni concrete, un primo passo è la promozione di un’organizzazione del lavoro che favorisca un equilibrio tra carichi di lavoro e risorse disponibili in termini di sostenibilità. Corsi di formazione per la gestione dello stress e per la comunicazione efficace, implementare servizi di coaching e la promozione di un ambiente lavorativo aperto, rispettoso e collaborativo in cui i lavoratori vengono valorizzati, con un monitoraggio costante completano il quadro delle misure per ambienti di lavoro più sostenibili e inclusivi con conseguente riduzione del rischio del burnout occupazionale.
Le responsabilità del datore di lavoro – La tematica dello stress da lavoro correlato è tutt’altro che da sottovalutare anche sotto il profilo delle responsabilità, come confermato dalla recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 26923 del 7.10.2025 in tema di risarcimento del danno alla salute conseguente all’ attività lavorativa.
Nella sentenza, la Corte ha stabilito un principio innovativo. Una volta che il lavoratore, o i suoi familiari, hanno dimostrato il nesso causale tra le condizioni di lavoro e il danno subìto, anche se determinato dall’ accumulo di situazioni stressanti nel tempo, è sul datore di lavoro che grava l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi dell'evento dannoso, ovvero che il danno è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile ai sensi dell'art. 1218 c.c
La responsabilità del datore di lavoro per violazione dell'obbligo posto dall'art. 2087 c.c. non configura una responsabilità oggettiva, ma una responsabilità contrattuale con inversione dell'onere probatorio, restando a carico del datore l'onere di provare l'adozione di tutte le misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore o l'impossibilità di adottare cautele adeguate.
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