Con l’ordinanza del 30.06.2021, il Tribunale di Roma afferma che la Cassa Integrazione con causale COVID-19 può essere riconosciuta solo alle aziende che, a seguito della pandemia, si trovino in situazione di difficoltà e non anche alle imprese che intendano utilizzarla quale rimedio alternativo al licenziamento per g.m.o. vietato dalla normativa emergenziale.
Il fatto affrontato
Il lavoratore propone ricorso giudiziale d’urgenza al fine di sentir dichiarare l’illegittimità del provvedimento con cui era stato collocato in C.I.G.O. con causale COVID-19 a zero ore per tredici settimane con decorrenza dal 12.04.2021.
A fondamento della predetta domanda, il medesimo deduce che la Cassa Integrazione sarebbe stata impropriamente utilizzata dall’azienda, non già per far fronte ad eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica, ma per meri fini ritorsivi nell'impossibilità di procedere al suo licenziamento in considerazione del blocco vigente.
L’ordinanza
Il Tribunale di Roma rileva, preliminarmente, che la C.I.G.O. - che integra o sostituisce la retribuzione dei lavoratori a cui è stata sospesa o ridotta la prestazione - può essere concessa esclusivamente in situazioni in cui vi sia una oggettiva difficoltà aziendale nella regolare continuazione della propria attività produttiva.
Per il Giudice, detta situazione non è rinvenibile nel caso di specie, ove la stessa parte datoriale – in una comunicazione ai dipendenti – ha affermato di non aver subito, durante il periodo di emergenza epidemiologica da COVID-19, alcuna compressione della propria attività.
Secondo la sentenza, dunque, il collocamento in cassa integrazione è stato in realtà funzionale a consentire alla società di liberarsi dall'obbligazione remunerativa nei confronti del ricorrente, nell'impossibilità legale di procedere al suo licenziamento.
Su tali presupposti, il Tribunale di Roma accoglie il ricorso, dichiarando l'illegittimità del provvedimento di collocazione in cassa integrazione del dipendente.
A cura di Fieldfisher