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L’accordo interconfederale del 28.02.2018 sulle relazioni industriali e la contrattazione collettiva: alcune prime riflessioni


1.L’assetto della contrattazione collettiva e il tema della partecipazione.

L’accordo interconfederale del 28 febbraio 2018, siglato da Confindustria e CGIL, CISL, UIL, arriva dopo lunghe discussioni e dopo altre intese rimaste incompiute in questi anni.

L’intesa attuale, oltre ad avere il pregio di confermare la volontà delle maggiori confederazioni di procedere unitariamente, è più completa e precisa delle precedenti su vari aspetti da tempo rivelatisi critici.

Quanto agli assetti della contrattazione collettiva, la scelta delle parti di adottare un modello di "governance adattabile” prende atto realisticamente delle diverse esperienze riscontrate nelle varie categorie in questi anni e risalenti nella nostra storia. Riconosce, quindi, la possibilità e l’utilità di diverse sperimentazioni.

Al contratto nazionale si fa carico di evidenziare la causa e i livelli dei vari trattamenti ulteriori rispetto ai minimi, fra cui si menzionano anche le forme di welfare, come è già avvenuto nel contratto dei metalmeccanici. Si afferma, inoltre, la necessità di disciplinare anche gli eventuali effetti economici in sommatoria fra il primo e il secondo livello di contrattazione dei vari trattamenti. Questo è un punto critico su cui si sono avute soluzioni diverse nelle varie categorie.

Qui voglio approfondire due aspetti, di particolare rilievo anche istituzionale.

Anzitutto, il tema della partecipazione, che era emerso dall’oblio nei più recenti accordi, soprattutto aziendali, è ora affrontato a livello confederale con più precisione e insieme con il necessario carattere di sperimentalità. Anche a questo proposito i contratti di categoria hanno autonomia di individuare i percorsi più adatti per attuare la partecipazione. In primis, è menzionata quella organizzativa già affermatasi in alcune prassi aziendali; ma a questa si accompagna una aggiunta del tutto nuova, perché l’accordo prevede che le parti considerano “una opportunità la valorizzazione di forme di partecipazione nei processi di definizione degli indirizzi strategici dell’impresa”. Questa è non solo una novità ma un obiettivo decisivo di fronte alle innovazioni digitali, specie nelle imprese 4.0, che sono destinate a cambiare la geografia dei sistemi produttivi e del lavoro.

2. La misurazione della rappresentatività e la pluralità di contratti collettivi

Il problema istituzionale di maggiore rilievo delle nostre relazioni sindacali, finora non risolto, riguarda la misura della rappresentatività sindacale e la sua certificazione nonché, in parallelo, la ricognizione della qualità e degli ambiti dei contratti collettivi.

L’accordo riafferma che la misura certificata della rappresentanza delle parti è la prima considerazione per realizzare un sistema di relazioni sindacali affidabile, in linea con la nostra Costituzione. E aggiunge che è necessaria la misura della rappresentanza anche di parte datoriale. Inoltre, precisa che l’accertamento dell’effettivo livello di rappresentanza di ambedue le parti è indispensabile anche per contrastare la proliferazione di contratti collettivi stipulati da soggetti di dubbia rappresentatività, che spesso coprono situazioni di vero dumping contrattuale.

A tal fine, l’intesa affida al CNEL due compiti rilevanti: quello di effettuare una precisa ricognizione sia dei perimetri della contrattazione collettiva di categoria sia dei soggetti stipulanti i contratti nazionali dei diversi settori per verificare la effettiva rappresentatività sulla base di dati oggettivi.

Che si tratti di compiti urgenti è testimoniato dal fatto che negli ultimi anni si è verificata una preoccupante proliferazione del numero dei contratti nazionali di categoria: nell’archivio del CNEL se ne contano ora 868, con un incremento del 74% dal 2010 al 2017; e il numero è in continua variazione.

Molti di questi contratti insistono sulla stessa categoria: ben 213 nel commercio, 68 nell’edilizia, 34 tra i chimici e 31 sia per i meccanici che per i tessili. E’ evidente che è necessario chiarire i confini per evitare sovrapposizioni indebite. I due compiti attribuiti al CNEL sono tra loro connessi anche se distinti, perché la identificazione dei contratti rappresentativi presuppone aver chiaro l’ambito di riferimento dei vari accordi. Sarà necessario comunque lavorare in progress.

Per avviare questa attività il CNEL ha svolto alcune attività preliminari; procedendo a una codificazione comune dei contratti fra archivio CNEL e archivio INPS e a una riorganizzazione, d’intesa con le principali organizzazioni dei lavoratori e dei datori, diretta a potenziare e rendere più accessibile il proprio archivio. Inoltre, in base a una convenzione con l’ INPS ha cominciato a identificare i dati oggettivi su cui basare l’accertamento delle rappresentativi dei contratti collettivi: in particolare dati riguardanti il numero dei datori di lavoro risultanti a INPS che dichiarano di applicare il ccnl e il numero delle unità produttive, associate a tali datori; il numero dei lavoratori cui il contratto si applica; l’ importo complessivo della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. In questa direzione si è mosso anche l’ispettorato nazionale del lavoro (INL) con la circolare 3/2018 contenente direttive agli ispettori per identificare situazioni aziendali di rischio al fine di contrastare evasioni e omissioni contributive.

La base di tali accertamenti dell’ INPS è la normativa della legge 389/1989, modificata dall’ art. 2, co 25 della legge 549/1995, secondo cui la retribuzione da prendere come base per i contributi previdenziali non può essere inferiore agli importi stabiliti da contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Sulla scorta di tale principio, l’Ispettorato procede di volta in volta a identificare i contratti cui i datori di lavori dei vari settori devono attenersi ai fini contributivi, pena incorrere nelle sanzioni di legge. Il rispetto di tali contratti da parte delle imprese, com’è noto, è anche condizione per avere diritto a una serie di benefici soprattutto fiscali e contributivi previsti da varie leggi. In tal modo, si identificano attraverso i soggetti stipulanti (rappresentativi) anche i contratti collettivi più rappresentativi.

Il compito attribuito al CNEL dall’accordo interconfederale è inteso a dare base oggettiva e sistematica alla individuazione di tali contratti. Si tratta di una selezione dei contratti che, in attesa della misurazione certificata della rappresentatività delle parti sociali come previsto dall’accordo e auspicabilmente in futuro confermato per legge, può fornire maggiore certezza alle imprese su quali accordi fra quelli presenti al CNEL sono base agli effetti per gli adempimenti contributivi e condizione per ottenere benefici di legge.

Non si tratta ancora di una attribuzione di valore generalmente vincolante ai contratti collettivi; ma così si realizza un rafforzamento indiretto della efficacia generale per la parte retributiva dei contratti oggettivamente più rappresentativi. Tale intervento corrisponde in pieno alla garanzia costituzionale secondo cui tutti i lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa e sufficiente; una garanzia storicamente affermata dalla giurisprudenza (ex art. 36), ma che ora può trovare sostegno sui dati valutati da Inps e Cnel.

Prof. Avv. Tiziano Treu – Emerito Università cattolica Milano