Con l’ordinanza n. 813 del 19.01.2021, la Cassazione afferma che il socio o l’amministratore di una società possono al contempo ricoprire la qualifica di dipendenti della stessa, a condizione che riescano a provare di essere soggetti ad un vincolo di subordinazione nei confronti dell’impresa.
Il fatto affrontato
Il lavoratore propone ricorso per decreto ingiuntivo al fine di ottenere il pagamento della somma di € 36.777,53 a titolo di retribuzioni per il periodo febbraio 2010 - maggio 2010, allorquando era anche amministratore unico della società datrice.
La Corte d’Appello respinge la predetta domanda, sul presupposto che il ricorrente non era riuscito a dimostrare che, nonostante la formale qualifica di amministratore, era posto in una posizione di subordinazione nei confronti dell’azienda.
L’ordinanza
La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che la qualità di socio o di amministratore di una società di capitali non esclude, a priori, la configurabilità di un rapporto di lavoro con la società stessa.
Per la sentenza, però, è – a tal fine – indispensabile che colui che intenda fare valere il rapporto di lavoro subordinato ne provi in modo certo l'elemento tipico qualificante e, cioè, il requisito della subordinazione.
Secondo i Giudici di legittimità, detto requisito deve essere inteso come il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore, caratterizzato dalla emanazione di ordini specifici oltre che dall'esercizio di una assidua attività di vigilanza e di controllo della esecuzione delle prestazioni lavorative.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dall’amministratore, dal momento che – dall’espletata istruttoria – era emerso non solo che lo stesso non era sottoposto al potere gerarchico e disciplinare di alcuno ma, al contrario, all'interno dell'azienda svolgeva un ruolo di predominanza sugli altri soci.
A cura di Fieldfisher