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Cassazione: gli effetti dell’abuso dei contratti a termine nel pubblico impiego


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Con la sentenza n. 6097 del 04.03.2020, la Cassazione afferma che l’abuso dei contratti a termine nel pubblico impiego non dà diritto alla conversione del rapporto di lavoro, ma soltanto ad un risarcimento di un danno che non necessita di essere provato dal dipendente.

Il fatto affrontato

Il lavoratore - deducendo di aver prestato attività lavorativa alle dipendenze della Regione sulla base di 17 contratti a tempo determinato susseguitisi per 9 anni - ricorre giudizialmente al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del termine apposto ai predetti contratti.
La Corte d’Appello accoglie parzialmente la predetta domanda, riconoscendo al medesimo un’indennità risarcitoria quantificata in misura pari a venti mensilità dell'ultima retribuzione percepita, ma respingendo le ulteriori domande volte ad ottenere la stabilizzazione del rapporto e la corresponsione di un risarcimento per gli ulteriori danni subiti.

La sentenza

La Cassazione afferma, preliminarmente, che, nell'impiego pubblico contrattualizzato, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione di lavoratori non può mai comportare la costituzione di rapporti a tempo indeterminato.

Secondo i Giudici di legittimità, ragionando diversamente si violerebbe, infatti, il principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione, poiché si consentirebbe l'immissione stabile nei ruoli a prescindere dall'effettivo fabbisogno del personale e dalla previa programmazione delle assunzioni, indispensabili per garantire efficienza ed economicità della gestione dell'ente pubblico.

Per la sentenza, unica tutela invocabile dal lavoratore è, quindi, quella risarcitoria, a fronte di un danno che, nell'ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, deve essere considerato in re ipsa.
La relativa quantificazione, in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla giurisprudenza della CGUE, deve essere parametrata ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo.

Su tali presupposti la Suprema Corte conferma il diritto del lavoratore ad ottenere l’indennità risarcitoria riconosciutagli in appello, non potendo la stabilizzazione alle dipendenze di una società privata controllata dall'ente pubblico essere ritenuta misura equivalente alla conversione del rapporto.

A cura di Fieldfisher