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Cassazione: è sufficiente il controllo sul risultato per integrare la subordinazione?


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Con l’ordinanza n. 23816 del 02.09.2021, la Cassazione ribadisce che, per rientrare nell’alveo della subordinazione, è necessario che l’eterodirezione interessi le modalità di svolgimento della prestazione e, non soltanto, il risultato della stessa.

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre giudizialmente al fine di ottenere la declaratoria della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, nel periodo – intercorso tra il 1989 ed il 2001 (data in cui era stata assunta dalla medesima società con la qualifica di dirigente) – in cui aveva svolto attività di preposto.
La Corte d’Appello respinge la predetta domanda, valorizzando – tra le altre cose – anche la circostanza che, all'atto dell'assunzione quale dirigente, la ricorrente aveva informato l'ente previdenziale della cessazione dell'attività autonoma prima dell'instaurazione del rapporto di lavoro subordinato.

L’ordinanza

La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che il criterio principe per qualificare un rapporto come subordinato è la presenza di un vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni e non già soltanto al loro risultato.

Secondo i Giudici di legittimità hanno, invece, carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria altri elementi del rapporto, quali, ad esempio, la collaborazione, l'osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione, l'inserimento della prestazione medesima nell'organizzazione aziendale e il coordinamento con l'attività imprenditoriale, l'assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione.

Per la sentenza, questi ultimi elementi - lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall'assumere valore decisivo ai fini della qualificazione del rapporto - possono, tuttavia, essere valutati globalmente come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l'apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull'atteggiarsi del rapporto.

Nell’applicare detti principi al caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla lavoratrice, dal momento che la stessa, nel periodo in contestazione, doveva rispondere all’amministratore della società solo in ordine ai risultati conseguiti, potendo però svolgere la relativa prestazione con ampi margini di autonomia.

A cura di Fieldfisher