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Cassazione: discriminatorio non rinnovare il contratto a termine alla lavoratrice in stato di gravidanza


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Con la sentenza n. 5476 del 26.02.2021, la Cassazione afferma che risulta discriminatoria la condotta tenuta da un datore che non rinnova il contratto a termine ad una propria dipendente soltanto perché è incinta, confermando - invece - tutti i colleghi che si trovano nella sua stessa condizione occupazionale.

Il fatto affrontato

La pubblica dipendente ricorre giudizialmente, al fine di sentir dichiarare la natura discriminatoria della mancata concessione - in quanto in stato di gravidanza - della proroga del contratto a tempo determinato, invece concessa a tutti i suoi colleghi che si trovavano nella stessa situazione contrattuale.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, sul presupposto che la ricorrente non aveva fornito alcuno specifico elemento di fatto idoneo a provare la lamentata discriminazione.

La sentenza

La Cassazione, ribaltando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, rileva preliminarmente che – secondo la giurisprudenza della CGUE e quella della CEDU – sul riparto dell'onere della prova nei giudizi antidiscriminatori, non si seguono i canoni ordinari di cui all'art. 2729 c.c.

Nello specifico, secondo i Giudici di legittimità, il soggetto che assume di essere stato discriminato è chiamato a dimostrare soltanto il trattamento che ritiene essere meno favorevole rispetto a quello riservato ad altri soggetti che si trovano nelle sue stesse condizioni.

Per la sentenza, grava, invece, sul datore di lavoro l'onere di provare le circostanze inequivoche che escludono la natura discriminatoria della sua condotta, dimostrando che la scelta sarebbe stata operata allo stesso modo nei confronti di qualsivoglia lavoratore nella medesima posizione, anche privo del fattore di rischio.

Su tali presupposti – non ritenendo assolto detto onere dalla PA datrice - la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dalla lavoratrice.

A cura di Fieldfisher