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Cassazione: il patteggiamento ha efficacia di giudicato anche nel processo del lavoro


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Con la sentenza n. 20560 del 19.07.2021, la Cassazione afferma che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (nota anche come patteggiamento) ha efficacia di giudicato, nell’ambito del processo del lavoro scaturente dall’impugnativa della sanzione disciplinare, quanto all'accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, dipendente ministeriale, impugna giudizialmente il licenziamento disciplinare irrogatogli per avere, unitamente ad altri due colleghi, falsamente attestato la propria presenza in ufficio mediante l'abusivo e reciproco utilizzo dei badges in loro dotazione.

La sentenza

La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che nei giudizi disciplinari che si svolgono davanti alle autorità pubbliche, e quindi anche in quelli contro i dipendenti della P.A., la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso.

Secondo i Giudici di legittimità, ne consegue che quando la contrattazione collettiva fa riferimento, per la graduazione delle sanzioni disciplinari a carico del pubblico dipendente, alla sussistenza, per i medesimi fatti, di sentenza di condanna penale, quest'ultima, in ragione del disposto dell’art. 653 c.p.p., deve presumersi riguardare anche il caso di sentenza di patteggiamento ai sensi dell'art. 444 c.p.p.

Per la sentenza, infine, non vi è alcuna preclusione alla valorizzazione del giudicato in sede civile, per la circostanza che la sentenza penale sia successiva all'irrogazione della sanzione disciplinare, posto che il principio di immutabilità della contestazione va ritenuto delimitato ai fatti posti a base della contestazione stessa e non certo ai mezzi di prova di cui il datore di lavoro può avvalersi in giudizio.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso del lavoratore, confermando la legittimità del licenziamento disciplinare irrogatogli.

A cura di Fieldfisher