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Cassazione: quali conseguenze in caso di formattazione del pc aziendale?


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Con la sentenza n. 33809 del 12.11.2021, la Cassazione afferma che la formattazione del pc aziendale da parte del dipendente, con conseguente distruzione dei dati di proprietà del datore in esso contenuti, integra violazione dei doveri di fedeltà e di diligenza, tale da costituire giusta causa di licenziamento.

Il fatto affrontato

La società ricorre giudizialmente al fine di ottenere da un suo ex dirigente il danno all'immagine ed alla reputazione professionale, in conseguenza della violazione dell'obbligo di fedeltà del dipendente negli anni 2012 e 2013.
A fondamento della predetta domanda, l’impresa deduce - tra le altre cose - l’illegittima formattazione da parte del lavoratore del pc aziendale, volta ad oscurare le condotte imputategli.
La Corte d’Appello, ritenendo gli addebiti sprovvisti di prova, rigetta la predetta domanda ed accoglie il ricorso incidentale del dirigente, condannando l’azienda a corrispondere allo stesso l’indennità di mancato preavviso.

La sentenza

La Cassazione - ribaltando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che la cancellazione totale di dati e file presenti sull'hard disk del computer aziendale integra gli estremi del reato di danneggiamento informatico, di cui all'art. 635 bis c.p.

Per la sentenza, detta fattispecie delittuosa sussiste anche se le informazioni possono essere recuperate mediante l’ausilio di un tecnico esperto, cui l’azienda ben può rivolgersi senza incorrere in violazioni del diritto alla privacy del dipendente.

Secondo i Giudici di legittimità, in tali circostanze, infatti, il diritto alla riservatezza recede di fronte a quello di difesa, nel senso che i dati personali possono essere trattati anche senza il consenso del titolare quando l’utilizzo serve a tutelare un diritto in sede giudiziaria.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso della società, condannando l’ex dipendente a risarcire la stessa.

A cura di Fieldfisher