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Cassazione: quando la quietanza sottoscritta dal lavoratore ha valore di rinuncia o transazione


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Con l’ordinanza n. 23296 del 18.09.2019, la Cassazione afferma che le dichiarazioni con cui il lavoratore pone in essere delle rinunce hanno il valore di transazione – di cui all’art. 2113 c.c. – solo se sono state rese dal dipendente con la piena consapevolezza di abdicare su propri diritti.

Il fatto affrontato

Il lavoratore ricorre giudizialmente per chiedere l’accertamento del suo diritto ad essere inquadrato nel livello superiore a quello riconosciutogli e, conseguentemente, la condanna della società al pagamento delle relative differenze retributive.
L’azienda si costituisce in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso, sul presupposto che il dipendente - al momento della cessazione del rapporto di lavoro - aveva sottoscritto una quietanza con cui rinunciava a maggiori somme imputabili ad una serie di pretese astrattamente ipotizzabili in relazione alla prestazione resa.

L’ordinanza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che la quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore - che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme e che sia riferita, in termini generici, ad una serie di titoli e pretese relative al rapporto di lavoro ed alla conclusione dello stesso - può assumere il valore di rinuncia o di transazione.
Ciò, però, solo nel caso in cui risulti accertato che tale quietanza sia stata rilasciata dal lavoratore con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi.

Secondo la sentenza, infatti, le enunciazioni contenute nelle quietanze sono assimilabili alle clausole di stile e non sono sufficienti di per sé a comprovare l'effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell'interessato.
Pertanto, per essere ravvisabili gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in senso stretto, è necessario che - per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione o altrimenti desumibili - risulti che il dipendente abbia sottoscritto la liberatoria con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti.

Applicando tali principi al caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso della società e conferma il diritto del lavoratore a vedersi riconosciute le differenze retributive richieste.

A cura di Fieldfisher