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Cassazione: quali somme conciliative sono escluse dalla tassazione?


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Con l’ordinanza n. 16512 del 23.05.2022, la Cassazione afferma che sono escluse da tassazione le somme riconosciute a titolo di danno emergente, quali il danno morale e il danno all'immagine o il danno da perdita di chance, consistente nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell'attività lavorativa.

Il fatto affrontato

A seguito della declaratoria giudiziale di illegittimità del provvedimento con cui era stata esclusa dal corso concorso per l'accesso alla dirigenza, la lavoratrice ottiene dal TAR il risarcimento di un danno patrimoniale (pari alla differenza tra la retribuzione percepita e quella che avrebbe percepito quale dirigente) ed un danno non patrimoniale (per il mancato conseguimento del livello dirigenziale cui avrebbe avuto diritto e per l'alterazione della vicenda umana e professionale).
Dal momento che la P.A. datrice, nel versarle tali somme, applica sulle stesse il regime fiscale per i redditi di lavoro dipendente, operando le ritenute, la dipendente propone istanza di rimborso delle cifre trattenute a titolo di IRPEF.
La Commissione tributaria regionale – investita della questione – rigetta parzialmente la predetta domanda, statuendo che i proventi erogati a titolo di danno patrimoniale sono sostitutivi di reddito e, come tali, soggetti a imposizione.

L’ordinanza

La Cassazione rileva, preliminarmente, che tutte le indennità conseguite dal lavoratore a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi e, quindi, tutte le indennità aventi causa o che traggano comunque origine dal rapporto, costituiscono redditi da lavoro dipendente, come tali assoggettati a tassazione separata e a ritenuta.

Per i Giudici di legittimità, dunque, rientrano nella base imponibile tutte le somme volte a ristorare la mancata percezione di redditi (lucro cessante), mentre non sono assoggettabili a tassazione quelle intese a riparare un pregiudizio e/o una perdita di natura diversa (danno emergente).

Nel caso di specie, l’impugnata pronuncia si è attenuta a detti principi, ritenendo tassabili le somme volte a sostituire il reddito perduto (la differenza tra i redditi percepiti e quelli che ella avrebbe percepito ove avesse conseguito la nomina a dirigente), costituente tipica ipotesi di lucro cessante, mentre non tassabili quelle volte a reintegrare una perdita immediatamente verificatasi nel patrimonio giuridico della lavoratrice (il danno esistenziale per il disagio morale e l'alterazione della vita umana e professionale).

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla pubblica dipendente, dichiarando corretta la ritenuta operata dalla PA datrice sul risarcimento del danno patrimoniale.

A cura di Fieldfisher