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Cassazione: non sussiste un diritto soggettivo del lavoratore alla parità retributiva con i colleghi


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Con l’ordinanza n. 8299 del 25.03.2019, la Cassazione afferma che il lavoratore subordinato non ha alcun diritto soggettivo alla parità di trattamento in materia retributiva e che, quindi, la circostanza che un dipendente goda di un certo beneficio economico non è titolo idoneo a giustificare la pretesa del medesimo beneficio o del risarcimento del danno di un altro lavoratore.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, dolendosi di aver ricevuto - nei primi 15 mesi di rapporto a tempo indeterminato, conseguenti alla trasformazione del precedente contratto di formazione e lavoro - un trattamento normativo ed economico illegittimo perché inferiore, a parità di mansioni, rispetto a quello percepito dai colleghi di ruolo, ricorre giudizialmente al fine di chiedere la condanna della società al pagamento delle relative differenze retributive.

L’ordinanza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che nei rapporto di lavoro subordinato la retribuzione prevista dal contratto collettivo acquista, pur solo in via generale, una 'presunzione' di adeguatezza ai principi di proporzionalità e sufficienza, che investe le disposizioni economiche dello stesso contratto anche nel rapporto interno fra le singole retribuzioni ivi stabilite.

Per i Giudici di legittimità, l'inadeguatezza di una retribuzione può essere accertata solo sulla base del parametro costituzionale di cui all’art. 36 e, quindi, per addivenire a tale giudizio non è possibile fare riferimento ad una singola disposizione del contratto collettivo che prevede per alcuni lavoratori un trattamento differente rispetto a quello previsto per gli altri.
La valutazione di adeguatezza va fatta, infatti, con riferimento alle sole voci che formano il tetto minimo della retribuzione e non a tutti gli elementi e gli istituti contrattuali che in essa confluiscono.

Secondo la sentenza, al fine del predetto giudizio, non assume, dunque, rilievo l'eventuale disparità di trattamento fra lavoratori della medesima posizione, atteso che non esiste a favore del lavoratore subordinato un diritto soggettivo alla parità di trattamento.
Inoltre, quando il trattamento differenziato trova il suo fondamento in un dato oggettivo di carattere temporale, l'attribuzione di un determinato beneficio ad un lavoratore non può costituire titolo per attribuire ad altro prestatore, che si trova nella medesima posizione, il diritto allo stesso beneficio o al risarcimento del danno.

Su tali presupposti, la Suprema Corte respinge il ricorso del lavoratore, dal momento che la differenza retributiva rispetto ai suoi colleghi era derivata esclusivamente dalla legittima applicazione, da parte della società, della normativa prevista in tema di trasformazione dei contratti di formazione e lavoro.

A cura di Fieldfisher