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Cassazione: la quietanza liberatoria firmata dal lavoratore non ha valore di rinuncia a tutti i suoi diritti di credito


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Con l’ordinanza n. 22245 del 04.08.2021, la Cassazione afferma che la quietanza liberatoria rilasciata dal lavoratore a saldo di ogni pretesa costituisce, generalmente, una mera dichiarazione di scienza che, come tale, non comporta la rinuncia dello stesso a tutti i diritti di credito scaturenti dal rapporto intercorso.

Il fatto affrontato

Il lavoratore ricorre giudizialmente contro la società, sua ex datrice, al fine di ottenere il pagamento di differenze retributive spettanti in relazione al rapporto intercorso nel periodo 01.11.2002 - 31.12.2006.
La Corte d’Appello respinge la predetta domanda, ritenendo – tra le altre cose – che il dipendente, con la sottoscrizione della quietanza liberatoria del 31.01.2007, non aveva inteso rinunciare ad esperire ogni altra azione in ordine a pretese nascenti dal rapporto, ritenendo che il documento non rivestisse valenza diversa rispetto ad una mera dichiarazione di scienza.

L’ordinanza

La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che la quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa costituisce, di regola, una semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell'interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti.

Per la sentenza, la stessa costituisce, quindi, una dichiarazione di scienza priva di alcuna efficacia negoziale, in quanto enunciazioni onnicomprensive sono assimilabili alle clausole di stile e non sono di per sé sufficienti a comprovare l'effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell'interessato.

Secondo i Giudici di legittimità, solo nel caso in cui - per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione - risulti che il lavoratore l'abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti, nella quietanza liberatoria possono essere ravvisati gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in senso stretto.

Non riscontrando quest’ultima ipotesi nel caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando il diritto del lavoratore ad ottenere le richieste differenze retributive.

A cura di Fieldfisher