Stampa

Cassazione: la firma apposta sulla busta paga per ricevuta da parte del lavoratore non prova il pagamento della somma indicata


icona

Con l’ordinanza n. 21699 del 06.09.2018, la Cassazione afferma che l'effettivo pagamento della somma indicata nella busta paga non è provato dalla firma per ricevuta da parte del lavoratore, posto che solo la sottoscrizione apposta sul CUD e sul modello 101 costituisce quietanza degli importi indicati come corrisposti da parte del datore.

Il fatto affrontato

La Corte d’Appello accoglie il ricorso proposto dal lavoratore al fine di ottenere delle differenze retributive, sostenendo che al dipendente non erano state versate le somme indicate nelle buste paga, in quanto le stesse erano state firmate per ricevuta e non per quietanza e ciò, contrariamente a quanto sostenuto dal datore, non dimostrava il versamento dello stipendio.

L’ordinanza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che le buste paga, ancorché sottoscritte dal lavoratore con la formula "per ricevuta", costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna, ma non anche dell'effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore, attesa l'assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal prestatore, il quale può provare l'insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni eventualmente apposte.

Secondo i Giudici di legittimità, quindi, tale sottoscrizione non implica, in maniera univoca, l'effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento e, pertanto, l’espressione “per ricevuta” non è tale da potersi interpretare alla stregua del solo riscontro letterale, imponendo invece il ricorso anche agli ulteriori criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 ss. c.c.
Con la conseguenza che, soltanto la sottoscrizione apposta dal dipendente sui documenti fiscali relativi alla sua posizione di lavoratore subordinato - CUD e modello 101 -, costituisce quietanza degli importi ivi indicati come corrisposti da parte del datore ed ha il significato di accettazione del contenuto delle dichiarazioni fiscali e di conferma dell'esattezza dei dati riportati.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dall’azienda, confermando il diritto del lavoratore a ricevere le differenze retributive richieste.

A cura di Fieldfisher