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Cassazione: i lavoratori part-time hanno diritto alla stessa retribuzione oraria dei colleghi a tempo pieno con il medesimo inquadramento


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Con l’ordinanza n. 8966 del 11.04.2018, la Cassazione afferma che, secondo la normativa vigente ante Jobs Act, viola il principio di non discriminazione, l’azienda che riconosce ai lavoratori part-time una retribuzione oraria inferiore rispetto ai colleghi a tempo pieno, utilizzando criteri di comparazione diversi da quello legale, avente ad oggetto l’inquadramento del dipendente ai sensi del CCNL applicabile.

Il fatto affrontato

La lavoratrice, assunta con contratto a tempo indeterminato con prestazione part-time a 80 ore mensili, articolate su turni giornalieri di 8 ore ciascuno per un minimo di 10 giorni al mese e 80 giorni l'anno, ricorre giudizialmente al fine di chiedere la condanna della società al pagamento delle differenze retributive, stante la corresponsione al personale a tempo parziale di una retribuzione oraria inferiore a quella dovuta al personale dipendente a tempo pieno.
La società si costituisce, sostenendo la legittimità del proprio operato, sulla base del riconoscimento al lavoratore part-time della stessa retribuzione oraria del lavoratore full-time, salva la concessione a quest’ultimo di una retribuzione complessivamente maggiore in ragione dello svolgimento di turni continui e avvicendati.

L’ordinanza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte di Appello, evidenzia, preliminarmente, come la normativa applicabile sia l’art. 4 del d.lgs. n. 61/2000, attuativo della direttiva 97/81/CE, relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale (poi abrogato dal Jobs Act).
La suddetta disposizione, al fine di assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale, prevede che gli stessi non debbano ricevere un trattamento economico-normativo meno favorevole rispetto ai prestatori a tempo pieno comparabili, con ciò intendendosi quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi.

Tale equiparazione, continua la sentenza, riguarda ovviamente anche l'importo della retribuzione oraria, con la conseguenza che il trattamento del lavoratore a tempo parziale deve essere riproporzionato unicamente in ragione della ridotta entità della prestazione.

Secondo i Giudici di legittimità, pertanto, il rispetto del citato principio di non discriminazione esclude che la suddetta comparazione possa eseguirsi in base a criteri diversi da quello contemplato dalla norma con esclusivo riferimento all'inquadramento previsto dalle fonti collettive.

Su tali presupposti, la Suprema Corte, ritenendo l’operato della società lesivo dei su esposti principi, ha rigettato il ricorso proposto dalla medesima.

A cura di Fieldfisher