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Cassazione: datore non obbligato a pagare la retribuzione per i giorni di picchetto aziendale


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Con la sentenza n. 6596 del 16.03.2018, la Cassazione ha affermato che non sussiste l’obbligo del datore a corrispondere la retribuzione ai dipendenti, per i giorni nei quali l’azienda ha subito, ad opera dei  lavoratori, un blocco ai varchi di accesso allo stabilimento, posto che l’impossibilità della prestazione lavorativa non risulta in alcun modo imputabile al datore.

Il fatto affrontato

Nel lasso di tempo intercorrente tra il 19 ed il 23 giugno 2006, nel corso di agitazioni sindacali, alcuni dipendenti costituiscono un blocco dei cancelli ai varchi di accesso allo stabilimento, impedendo l’ingesso dei materiali e l’uscita dei prodotti lavorati.
Successivamente, dei lavoratori propongono ricorso giudiziale diretto all’accertamento del loro diritto alla retribuzione per il suddetto periodo.
La società si costituisce in giudizio affermando, da un lato, che l’impossibilità alla prestazione lavorativa non era in alcun modo imputabile al datore e, dall’altro, che nell’intesa in seguito raggiunta con i sindacati la stessa si era impegnata a chiedere, per il periodo in questione, il trattamento di CIGO per i propri dipendenti, ma non anche a corrispondere la relativa retribuzione in caso di esito negativo della pratica.

La sentenza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte d’Appello, non ritiene di poter aderire alla censura avanzata dai lavoratori in ordine alla errata interpretazione dell’accordo intercorso tra la società e le organizzazioni sindacali.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, il tenore letterale chiaro ed inequivoco dell’intesa raggiunta tra le parti sociali impedisce di addivenire a qualsivoglia lettura estensiva del contenuto della stessa.

Ulteriormente, la sentenza richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale l’interpretazione dei contratti e degli atti di autonomia privata è un’attività riservata al Giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto in caso di motivazione contraria a logica od incongrua (mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative) ovvero per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (tramite la specificazione di canoni interpretativi in concreto violati).

Su tali presupposti, visto che, da un lato, i prestatori non si sono attenuti ai suddetti criteri e che, dall’altro, nel periodo incriminato, l’impedimento totale alla prestazione è imputabile ad un avvenimento esterno senza alcuna responsabilità di parte datoriale, la Suprema Corte ha respinto il ricorso proposto dai dipendenti, non ravvisando il loro diritto a percepire la retribuzione per i giorni di picchetto.

A cura di Fieldfisher