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Cassazione: il datore deve essere assolto se il lavoratore ammette di aver commesso il reato disobbedendo agli ordini


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Con la sentenza n. 28492 del 20.06.2018, la Cassazione penale afferma che il datore di lavoro può essere accusato, per culpa in vigilando, per un reato commesso da un proprio dipendente, soltanto nel caso in cui venga accertato un comportamento del medesimo avente contenuto attivo, partecipativo od omissivo.

Il fatto affrontato

La legale rappresentante di una società viene condannata alla pena di € 3.000 di ammenda, in quanto ritenuta responsabile del reato di cui agli all'art. 256, commi 1 lett. a) e 2 D.Lgs. 152/2006, per avere un dipendente dell’azienda effettuato attività di raccolta e di trasporto di rifiuti speciali non pericolosi, abbandonandoli in modo incontrollato su una strada di pubblico transito.
La medesima impugna detta pronuncia, sostenendo che la condotta era stata esclusivamente posta in essere dall’operaio che, di propria iniziativa, aveva sversato i rifiuti, contravvenendo alle disposizioni impartitegli dalla titolare che gli aveva ordinato di trasportarli nei terreni adibiti allo smaltimento.

La sentenza

La Cassazione, ribaltando quanto stabilito nella sentenza impugnata, sostiene che la culpa in vigilando da parte del titolare dell'impresa sul fatto del proprio dipendente che abbia posto in essere una condotta di abbandono dei rifiuti, così come viene ipotizzato nel capo di imputazione del caso di specie, postula pur sempre un accertamento pieno dell'eventuale contenuto attivo, partecipativo od omissivo, della condotta contestata alla legale rappresentante della società.

Secondo i Giudici di legittimità, affinché possa ritenersi sussistente la responsabilità concorrente del titolare dell'impresa, non costituente un'ipotesi di responsabilità oggettiva, occorre accertare che la condotta incriminata non sia frutto di una autonoma iniziativa dei lavoratori contro le direttive e ad insaputa dei datori, specie allorquando la condotta sia stata posta in essere, come nel caso di specie, dal prestatore in un momento in cui si trovava da solo.

Su tali presupposti, nel caso in esame, avendo il dipendente affermato di aver contravvenuto, per ridurre i tempi di lavoro, agli ordini impartitigli dal datore, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dalla titolare dell’azienda, prosciogliendola dall’accusa mossa nei suoi confronti.

A cura di Fieldfisher