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Cassazione: condizioni di legittimità del patto di non concorrenza


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Con l’ordinanza n. 23418 del 25.08.2021, la Cassazione afferma che il patto di non concorrenza - senza compromettere totalmente le potenzialità reddituali del dipendente - può estendersi sino al punto di vietare lo svolgimento di qualsiasi mansione in mercati in cui convergono beni o servizi identici a quelli del datore.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, dirigente bancario, ricorre giudizialmente contro la società, sua ex datrice, al fine di ottenere la declaratoria di nullità del patto di non concorrenza apposto al contratto di lavoro, in quanto indeterminato nel relativo ammontare e, comunque, iniquo.
La Corte d’Appello respinge la predetta domanda, sul presupposto che il patto doveva ritenersi valido, in quanto prevedente:
- una durata limitata nel tempo pari a tre mesi;
- una estensione territoriale circoscritta ad alcune regioni del nord e del centro Italia;
- un corrispettivo pari ad € 10.000,00 per ogni anno di lavoro, tenendo conto del fatto che le mansioni svolte erano altamente specializzanti e che una più lunga permanenza presso la banca datrice poteva rendere più difficile una nuova collocazione sul mercato, ampliando il sacrificio rispetto a quello che si sarebbe potuto verificare in relazione ad un rapporto di breve durata.

L’ordinanza

La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che il patto di non concorrenza non deve limitarsi a contemplare le mansioni che il lavoratore ha espletato nel corso del rapporto cui si riferisce, ben potendo ricomprendere anche altre prestazioni che in qualche modo competano con le attività economiche che svolge il datore.

Per la sentenza, presupposto di legittimità indispensabile è che il patto non può estendersi sino al punto di compromettere qualsivoglia potenzialità reddituale del lavoratore, comprimendo ogni esplicazione della sua concreta professionalità.

Secondo i Giudici di legittimità, inoltre, il relativo compenso – che può essere erogato al lavoratore anche nel corso del rapporto – non deve essere simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, ma deve tener conto del sacrificio imposto al dipendente, a prescindere dall'utilità che lo stesso apporta al datore.

Ritenendo dette condizioni rispettate nel caso di specie, la Suprema Corte conferma la validità dell’impugnato patto di non concorrenza e, conseguentemente, rigetta il ricorso del lavoratore.

A cura di Fieldfisher