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Tribunale di Milano: la prova sulla giusta causa può scaturire anche da un ragionamento presuntivo


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Con la sentenza n. 29123 del 03.12.2019, il Tribunale di Milano afferma che, quando la natura degli addebiti mossi al lavoratore è tale da integrare la giusta causa di licenziamento, la prova della responsabilità del dipendente può scaturire anche da un ragionamento presuntivo composto da elementi gravi, precisi e concordanti ai sensi dell’art. 2727 c.c.

Il fatto affrontato

La lavoratrice, addetta alle operazioni di riscossione del pedaggio autostradale, impugna giudizialmente il licenziamento disciplinare irrogatole per essersi appropriata indebitamente di alcune somme pagate da automobilisti in transito presso il casello dalla stessa presidiato.
In particolare, secondo la società datrice, la ricorrente – assieme ad altri suoi colleghi – aveva congegnato uno strutturato sistema fraudolento, attraverso un duplice sistema, di blocco delle barriere ottiche e di utilizzo di un biglietto diverso da quello consegnato dall’utente e di minore importo rispetto all’effettivo pedaggio, incamerando e trattenendo per sé il differenziale.

La sentenza

Il Tribunale di Milano afferma, preliminarmente, l’infondatezza della tesi difensiva della lavoratrice circa il mancato raggiungimento della prova della commissione da parte della medesima dei fatti oggetto di contestazione.
Invero, ai fini dell’integrazione della giusta causa ex art. 2119 c.c., la prova della responsabilità del dipendente può scaturire anche da un ragionamento presuntivo composto da elementi gravi, precisi e concordanti ai sensi dell’art. 2727 c.c.

Per la sentenza, ciò è possibile quando il cumulo degli elementi indiziari emersi nel corso del giudizio e la valutazione di ogni singolo aspetto del fatto controverso inducano a ritenere che le mancanze del prestatore abbiano rivestito una tale gravità da far venire definitivamente meno il vincolo fiduciario, quale presupposto indefettibile della collaborazione tra le parti.

Secondo il Giudice, la connotazione dolosa del comportamento della lavoratrice ed, in particolare, l’adozione di artifici finalizzati a realizzare un ingiusto profitto, con evidente danno a carico della società datrice, rendono certamente congrua la sanzione espulsiva alla stessa comminata.

Su tali presupposti, il Tribunale di Milano respinge il ricorso della lavoratrice, dichiarando la legittimità dell’impugnato recesso.

A cura di Fieldfisher