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La progressiva espansione per via pretoria della tutela reintegratoria nei licenziamenti per motivi oggettivi


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Nell’assetto originario dell’art. 18, co. 7, Stat. Lav., riformato dalla L. n. 92/2012, il rapporto tra regola, costituita dalla tutela indennitaria, ed eccezione, costituita dalla tutela reintegratoria, si imperniava sulla natura “manifesta” della “insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.

Ancora prima delle sentenze nn. 59/2021 e 125/2022 della Corte Costituzionale, su cui diremo infra, la progressiva espansione in via pretoria della tutela reintegratoria nei licenziamenti per motivi oggettivi si era realizzata su due fronti.

Su un primo fronte la giurisprudenza, andando forse oltre il testo normativo e la ratio della Riforma Fornero, aveva ampliato la nozione di “fatto posto a base del licenziamento”, sino a ricomprendervi - oltre alle “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (art. 3 della L. n. 604/1996) ed al nesso causale tra le stesse e la soppressione del posto di lavoro - anche “l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore”, ossia l’adempimento dell’obbligo di repêchage (Cass. 12/05/2022, n. 15210; Cass. 23/02/2021, n. 4894; Cass. 14/02/2020 n. 3819; Cass. 11/11/2019, n. 29105).

Su altro fronte la giurisprudenza aveva fatto leva sulla vaga, ma inequivocabilmente selettiva, natura “manifesta” dell’insussistenza del fatto, per ritagliarsi una certa discrezionalità nel riconoscere la tutela reintegratoria nei casi di “chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti di legittimità del recesso” (Cass. 21/03/2022, n. 9158; Cass. 19/05/2021, n. 13643; Cass. 04/03/2021, n. 6083; Cass. 19/03/2020, n. 7471) oppure nell’escluderla, in favore di quella indennitaria, in presenza di “elementi di prova opinabili e non univoci” (Cass. 21/03/2022, n. 9158; Cass. 04/03/2021, n. 6083).

In questo contesto il giudice era chiamato, una volta accertata l’illegittimità del licenziamento, a valutare “tutte le circostanze del caso concreto … per determinare l’eventuale riconduzione del fatto sottoposto al suo esame all’area di una insussistenza, che deve porsi come «manifesta» e cioè contraddistinta da tratti che ne segnalano, in modo palese, la peculiare difformità rispetto alla mera assenza dei presupposti del licenziamento” (Cass. 13/03/2019, n. 7167).

Il che rendeva difficilmente prevedibile il regime sanzionatorio potenzialmente applicabile al caso concreto, inevitabilmente influenzato dal futuro quadro probatorio, sovente articolato e non pienamente conoscibile a priori (si pensi alle prove testimoniali).

Senza contare i risultati alquanto contradditori a cui la giurisprudenza era non di rado giunta.

Ad esempio, se va ricondotta alla tutela indennitaria la “violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee” (Cass. 14/10/2021, n. 28174; Cass. 19/03/2020, n. 7471; Cass. 17/10/2019, n. 26460), appare incoerente sanzionare con la tutela reintegratoria la “condotta datoriale obiettivamente e palesemente artificiosa, in quanto diretta all’esercizio di un potere di selezione arbitraria del personale da licenziare” (Cass. 13/03/2019, n. 7167; tra i giudici di merito v. App. Milano 31/01/2022, n. 1494; App. Roma 11/10/2021, n. 3538; App. Roma 16/02/2021, n. 527).

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Come anticipato, nell’ultimo anno la Corte Costituzionale è intervenuta due volte sull’art. 18, co. 7, Stat. Lav., in materia di licenziamenti per motivi oggettivi.

Dapprima, con la sentenza n. 59/2021, ne ha dichiarato l’illegittimità “nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» - invece che «applica altresì» - la disciplina di cui al medesimo art. 18, comma 4”.

Di poi, con la sentenza n. 125/2022, pubblicata poche settimane fa, la Corte Costituzionale ha espunto dal dettato normativo il requisito della “manifesta” insussistenza del fatto, poiché lo stesso “demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e, per di più, priva di un plausibile fondamento empirico … prestandosi ad incertezze applicative e potendo condurre a soluzioni difformi, con conseguenti ingiustificate disparità di trattamento”.

Beninteso, la Corte Costituzionale non ha sancito, né del resto avrebbe potuto, l’obbligatoria applicazione della tutela reintegratoria, che resta limitata - come si ricorda nella sentenza n. 125/2022 - ai “vizi più gravi, che investono il nucleo stesso e le connotazioni salienti della scelta imprenditoriale, confluita nell’atto di recesso”.

Sennonché, tale sentenza sembra aver rovesciato l’originario rapporto tra regola ed eccezione previsto dalla Riforma Fornero, rendendo del tutto marginale la tutela indennitaria, attualmente applicabile alle sole “ipotesi in cui il licenziamento è illegittimo per aspetti che, pur condizionando la legittimità del licenziamento, esulano dal fatto giuridicamente rilevante”.

Occorre domandarsi se ed in quali casi la tutela indennitaria possa ancora trovare spazio applicativo nei licenziamenti per motivi oggettivi.

Sintomaticamente, nella sentenza n. 125/2022 la Corte Costituzionale è riuscita a fare un solo esempio di applicazione della tutela indennitaria: “il mancato rispetto della buona fede e della correttezza che presiedono alla scelta dei lavoratori da licenziare, quando questi appartengono a personale omogeneo e fungibile”.

Anche ammesso che questa ipotesi regga nel mutato quadro normativo, è arduo immaginare ulteriori vizi sostanziali del licenziamento esulanti dal “fatto giuridicamente rilevante”, potenzialmente sanzionabili con la tutela indennitaria.

Il che dà la netta impressione che la tutela reintegratoria sia di fatto diventata - o, se vogliamo, tornata ad essere - la pressoché unica tutela applicabile ai licenziamenti per motivi oggettivi.

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Per effetto della sentenza n. 125/2022 risulta drasticamente accentuata la differenza tra l’art. 18, co. 7, Stat. Lav. e l’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015, che non prevede alcuna ipotesi di reintegrazione nei licenziamenti per motivi oggettivi.

È ben vero che - come suole ripetere la Corte Costituzionale - “molteplici possono essere i rimedi idonei a garantire una adeguata compensazione per il lavoratore arbitrariamente licenziato” (sentenze n. 59/2021 e n. 254/2020) e che la tutela reintegratoria non costituisce “l’unico possibile paradigma attuativo dei principi … [di] garanzia del diritto al lavoro previsto dagli artt. 4 e 35 della Costituzione” (sentenze n. 46/2000; n. 303/2011; n. 268/1994; n. 194/1970).

Ma è anche vero che la scelta per “un meccanismo di tutela anche solo risarcitorio-monetario”, rimessa alla discrezionalità del legislatore, deve avvenire, come dice la stessa Corte Costituzionale, “nel rispetto del principio di ragionevolezza” (sentenze n. 160/2019 e n. 194/2018).

Da questo punto di vista - per quanto non lesivo del diritto euro-unitario (come sancito dalla Corte di Giustizia con sentenza n. C-652/2019) - potrebbe esser ritenuto irragionevole differenziare il regime sanzionatorio, tantopiù in maniera così netta, tra due lavoratori di una stessa impresa con più di 15 dipendenti, licenziati contestualmente per lo stesso motivo oggettivo, per il solo fatto di essere stati assunti l’uno prima e l’altro dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015.

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Per ragioni analoghe a quelle esaminate, viene da chiedersi se e quale impatto possano avere le citate pronunce della Corte Costituzionale sui licenziamenti disciplinari, per i quali, almeno formalmente, secondo l’impianto originario della Riforma Fornero (salvo quanto diremo infra), opera ancora il rapporto tra regola, costituita dalla tutela indennitaria, ed eccezione, costituita dalla tutela reintegratoria, limitata alle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 18, co. 4, Stat. Lav.

La stessa Corte Costituzionale, nel ritenere con la sentenza n. 59/2021 “disarmonico e lesivo del principio di eguaglianza” il carattere facoltativo della reintegrazione, all’epoca previsto per i licenziamenti economici, ha precisato che “non legittimano una diversificazione … le peculiarità delle fattispecie di licenziamento, che evocano, nella giusta causa e nel giustificato motivo soggettivo, la violazione degli obblighi contrattuali ad opera del lavoratore e, nel giustificato motivo oggettivo, scelte tecniche e organizzative dell’imprenditore”.

Avv.ti Luca Antonetto e Giuseppe Paone - Fieldfisher