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Corte d’Appello di Firenze: il licenziamento irrogato al rientro da una lunga malattia può essere ritorsivo o discriminatorio


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Con la sentenza n. 1196 del 28.11.2017, la Corte d’Appello di Firenze afferma che il licenziamento irrogato a seguito di una lunga assenza del lavoratore per malattia, può essere considerato: discriminatorio se il dipendente, a seguito della patologia che l’ha costretto a rimanere fuori servizio, riesce a dimostrare di essere affetto da una disabilità tale da comportare limitazioni durature nello svolgimento della prestazione, ovvero ritorsivo, allorquando il prestatore riesca a provare che il fatto di esser stato assente è il motivo unico e determinante della scelta datoriale.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, operaio specializzato alle dipendenze di una piccola impresa artigiana, al rientro in servizio, dopo un lungo periodo di malattia, riceve la lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, basato sulla soppressione del reparto cui lo stesso era affidato e sull’impossibilità di ricollocarlo in altra mansione all’interno dell’azienda. Il prestatore impugna, con il c.d. rito Fornero, il recesso datoriale, chiedendo la reintegra nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno, stante il carattere ritorsivo e discriminatorio del licenziamento.

La sentenza

Il Tribunale, sia nell’ordinanza emessa a chiusura della fase sommaria che nella sentenza resa a seguito dell’opposizione da parte del lavoratore, non riconosceva il carattere ritorsivo o discriminatorio del licenziamento irrogato, affermando, tuttavia, l’inesistenza del giustificato motivo oggettivo posto alla base del provvedimento datoriale.

Il Giudice evidenziava diversi elementi, quali: l’inesistenza di un vero e proprio reparto cui era affidato in via esclusiva il dipendente, l’avvenuta soppressione solo di parte residuale delle mansioni del medesimo, tra l’altro molto più esperto del collega rimasto in servizio, l’assunzione di una nuova prestatrice che, nonostante il formale inquadramento differente, di fatto era addetta alle stesse lavorazioni, considerandoli tali da far venir meno le motivazioni addotte dalla Società. Nonostante ciò, non riteneva provata la circostanza che la lunga assenza per malattia fosse stato l’unico e determinante motivo del licenziamento.

La Corte d’Appello, censurando parzialmente la decisione del Giudice di primo grado, ha:

  • negato il carattere discriminatorio del recesso datoriale, posto che il lavoratore non ha provato che la malattia dalla quale è stato colpito gli abbia provocato una disabilità, da intendersi, ai sensi della direttiva europea n. 2000/78, come una limitazione, risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, tale da ostacolare la piena ed effettiva partecipazione dell’interessato alla propria vita professionale;
  • affermato la ritorsività del licenziamento, dal momento che lo stesso, da un punto di vista sia oggettivo che soggettivo, non presentava altra spiegazione che il collegamento causale con l’assenza per malattia, sì da essere espressivo della volontà datoriale di rappresaglia nei confronti di un dipendente fuori servizio per lungo tempo (in particolare, la Corte ha dato rilievo ai sovra citati elementi che avevano già indotto il Tribunale a dichiarare l’inesistenza del giustificato motivo oggettivo ed al fatto che la società avesse consegnato la lettera di licenziamento al dipendente proprio il giorno del suo rientro in azienda).

Su tali presupposti, la Corte d’Appello, in applicazione del comma 1 dell’art. 18 della l. 300/1970 così come modificato dalla l. 92/2012, ha dichiarato la nullità del licenziamento, condannando la società alla reintegra del lavoratore ed al pagamento del risarcimento del danno.

A cura di Fieldfisher