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Cassazione: non c’è violazione dell’obbligo di repechage se il lavoratore non vuole trasferirsi in altra sede


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Con la sentenza n. 7360 del 16.03.2021, la Cassazione afferma che, laddove il dipendente licenziato per g.m.o. si dica disponibile al trasferimento solo in determinate zone, il datore – per non incappare nella violazione dell’obbligo di repechage – deve provare unicamente l’impossibilità di ricollocarlo nelle sedi aziendali site in detti territori.

Il fatto affrontato

La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatole a seguito della chiusura dell'unità locale ove era impiegata.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, deducendo la mancata violazione dell’obbligo di repechage, a fronte della disponibilità dimostrata dalla dipendente di essere trasferita soltanto in una delle sedi della Campania o del basso Lazio.

La sentenza

La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore l'allegazione e la prova dell'impossibilità di repechage del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso.

Per la sentenza, detto onere risulta assolto dal datore che riesca a dimostrare che non vi è alcuna possibilità di ricollocare il lavoratore licenziato in una sede ricompresa all’interno del territorio in cui lo stesso si è detto disposto a trasferirsi.

Invero, secondo i Giudici di legittimità, seppur sul lavoratore non incomba alcun onere di allegazione, una volta che lo stesso circoscrive - nella domanda giudiziale - l’ambito spaziale di interesse, consente al datore di non addure alcunché circa il possibile ricollocamento in sedi site in territori diversi.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della lavoratrice, ritenendo assolto da parte della società l’onere di dimostrare di non avere alcun posto disponibile in Campania e nel basso Lazio.

A cura di Fieldfisher