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Cassazione: l’insubordinazione durante lo sciopero rende il licenziamento non proporzionale


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Con la sentenza n. 9479 del 22.05.2020, la Cassazione afferma che deve essere considerato illegittimo, per difetto di proporzionalità, il recesso irrogato a seguito dell’insubordinazione consumatasi in un momento in cui, durante uno sciopero, il lavoratore ha agito in confusione per il contrasto fra l’ordine ricevuto oralmente dal superiore gerarchico e precedenti disposizioni scritte.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, casellante autostradale, impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per avere, in occasione di uno sciopero, bloccato manualmente in posizione alzata la sbarra del casello, impedendo all'azienda datrice di incassare i pedaggi degli automezzi ivi transitati prima dell'intervento di sblocco.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, configurando, nella condotta tenuta dal dipendente, un atto di insubordinazione dettato anche dallo stato di confusione generato dal contrasto tra l'ordine verbale del suo superiore gerarchico e precedenti difformi disposizioni scritte.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che anche quando l’insubordinazione non è tanto grave da giustificare la sanzione espulsiva e non può dirsi, quindi, integrata la giusta causa di recesso, il dipendente non ha diritto alla reintegra, a meno che la condotta addebitatagli non sia inserita dal CCNL di riferimento nelle ipotesi punite con sanzioni conservative.

Secondo i Giudici di legittimità, in tutti gli altri casi – pur a fronte dell’illegittimità del licenziamento – il rapporto deve essere dichiarato estinto ed al lavoratore deve essere riconosciuta un’indennità con valore risarcitorio, ai sensi dell’art. 18, comma 5, L. 300/1970.

Per la sentenza la reintegra deve dirsi esclusa, nel caso di specie, posto che la norma collettiva punisce con mera sanzione conservativa soltanto l’espletamento dell’attività propria del dipendente in modo difforme da direttive e disposizioni aziendali, mentre al momento della commissione della condotta addebitata il lavoratore, poi, licenziato non si trovava in servizio.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso del dipendente, confermando il suo diritto a vedersi riconosciuta l’indennità risarcitoria ma non anche la reintegra nel proprio posto di lavoro.

A cura di Fieldfisher