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Cassazione: le indicazioni del CCNL sulle ipotesi di giusta causa non bastano a legittimare il recesso


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Con la sentenza n. 18334 del 07.06.2022, la Cassazione afferma che, al fine di valutare la proporzionalità del licenziamento disciplinare, non è sufficiente che la condotta contestata al lavoratore rientri tra quelle per cui il CCNL prevede la sanzione espulsiva.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, addetto alla verifica dei titoli di viaggio, impugna giudizialmente il licenziamento disciplinare irrogatogli per aver alterato una contravvenzione ed essersi impossessato della relativa somma pagata dalla passeggera.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, non ritenendo fondate - tra le altre - le doglianze inerenti alla tardività della contestazione e alla lesione del diritto di difesa del ricorrente (che aveva avuto accesso a tutti i documenti richiesti).

La sentenza

La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che il giudice di merito è tenuto a valutare la congruità del licenziamento disciplinare, non sulla base di una valutazione astratta dell'addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro.

Secondo i Giudici di legittimità, ai fini della valutazione della proporzionalità del recesso, è insufficiente, pertanto, un'indagine che si limiti a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile alle disposizioni della contrattazione collettiva che consentono l'irrogazione del licenziamento.

Per la sentenza, infatti, è sempre necessario valutare in concreto se il comportamento tenuto, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore e di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali.
A quest’ultima conclusione si giunge certamente qualora la condotta del lavoratore denoti una scarsa inclinazione dello stesso ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso del lavoratore, confermando la legittimità del recesso irrogatogli.

A cura di Fieldfisher