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Cassazione: la depressione del lavoratore non può giustificare l’utilizzo illecito di mezzi aziendali


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Con la sentenza n. 3315 del 12.02.2018, la Cassazione afferma che l’esistenza di una patologia psicologica, da cui è affetto il dipendente per motivi di lavoro, non giustifica l’utilizzo illecito dei mezzi aziendali, da parte del medesimo, che comporti un grave danno economico alla società. Potendo, invece, quest’ultima, in conseguenza di una tale condotta, irrogare un licenziamento per giusta causa al lavoratore interessato.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, sostenendo di essere affetto da depressione e di avere la necessità di sentire voci amiche in momenti difficili della giornata, utilizza la linea dedicata al fax del reparto cui è addetto per effettuare una lunghissima serie di telefonate verso numerazioni non attinenti alle esigenze di servizio, comportando un costo di oltre 8.000,00 euro per la società. Quest’ultima decide, quindi, di irrogargli un licenziamento per giusta causa.

La sentenza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte di Appello, ha affermato la legittimità di un licenziamento per giusta causa irrogato ad un lavoratore che, sostenendo di essere depresso per colpa di condotte illecite imputabili al datore, trovava conforto nelle telefonate effettuate a parenti ed amici dalla linea aziendale, sì da comportare un grave danno economico alla società.

Per giungere alle suddette conclusioni, i Giudici di legittimità sostengono che lo stato di sofferenza psicologica di un dipendente, seppur attribuibile al comportamento datoriale, non può essere una causa giustificativa del ripetuto uso illecito dei mezzi aziendali per fini personali da parte del lavoratore, non essendo ipotizzabile una sorta di diritto di ritorsione per le condotte mobbizzanti poste in essere dalla società.

Pertanto, secondo la sentenza in commento, in presenza di una situazione di particolare fragilità psichica del prestatore, unico rimedio esperibile dallo stesso è quello di ricorrere alle cure necessarie, senza incorrere, come nel caso di specie, in comportamenti palesemente contrari a correttezza e buona fede.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal lavoratore.

A cura di Fieldfisher