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Cassazione: le conseguenze dello svuotamento delle mansioni nel pubblico impiego


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Con l’ordinanza n. 11499 del 08.04.2022, la Cassazione afferma che, anche nel pubblico impiego, in caso di sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, il dipendente ha sempre diritto a vedersi riconosciuti i danni patrimoniali e non arrecatigli dall’illecita condotta della P.A. datrice.

Il fatto affrontato

La Corte d’Appello accoglie il ricorso del lavoratore volto ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non subiti a seguito dello svuotamento delle proprie mansioni.
La Regione datrice impugna detta pronuncia, deducendo che la Corte aveva oltrepassato i limiti della domanda che era relativa a una ipotesi di demansionamento.

L’ordinanza

La Cassazione ritiene di non accogliere l’impugnazione della P.A., posto che in caso di totale sottrazione delle funzioni da svolgere non può integrarsi la fattispecie del demansionamento.

Secondo i Giudici di legittimità, lo svuotamento integrale dell’attività lavorativa risulta sempre vietato anche nel pubblico impiego ed esula dal concetto di equivalenza delle mansioni che deve essere, invece, tenuto presente in caso di dequalificazione.

Per la sentenza, in ipotesi di svuotamento delle attività da svolgere, il pubblico dipendente ha, quindi, sempre diritto a vedersi ristorati i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito dell’illecita condotta datoriale.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della Regione, confermando la debenza del risarcimento riconosciuto al dipendente.

A cura di Fieldfisher