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Cassazione: il demansionamento non giustifica l’assenza protratta del lavoratore


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Con la sentenza n. 836 del 16.01.2018, la Cassazione ha ribadito che, nella vigenza dell’art. 2103 c.c. nella formulazione anteriore alla riforma apportata dal Jobs Act, il lavoratore può rifiutarsi di svolgere mansioni inferiori a lui non spettanti, soltanto nel caso in cui tale rifiuto sia proporzionato all’illegittimo comportamento del datore e sia conforme a buona fede.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, a distanza di due mesi dalla decisione del datore di spostarlo in un altro reparto con privazione delle mansioni di responsabilità prima rivestite, contesta, tramite lettera del proprio legale, la decisione dell’azienda, eccependo l’inadempimento ed assentandosi dal luogo di lavoro dal giorno successivo. Stante l’assenza ingiustificata protrattasi per oltre quattro giorni, la società, in ossequio alla declaratoria contenuta nel CCNL, decide di licenziarlo.

La sentenza

La Cassazione – ribaltando la sentenza della Corte di Appello – afferma che, nella vigenza della norma ante Jobs Act, in caso di violazione da parte della società del precetto contenuto dall’art. 2103 c.c., la reazione del dipendente coinvolto deve essere improntata sul criterio della proporzionalità e deve rispondere al principio di buona fede.

La Suprema Corte ha, pertanto, censurato la pronuncia di merito nella parte in cui la stessa, rilevando la “platealità della degradazione” subita dal prestatore, aveva ritenuto giustificata, ai sensi dell’art. 1460 c.c., l’eccezione di inadempimento sollevata dallo stesso.

I Giudici di legittimità, per giungere alle suddette conclusioni, nel richiamare alcuni precedenti, hanno affermato che, a seguito di adibizione a mansioni inferiori, il lavoratore non può rendersi totalmente inadempiente alla prestazione, sospendendo ogni attività, qualora il datore assolva tutti gli altri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale ed assicurativa), dal momento che, in un contratto a prestazioni corrispettive, una parte può invocare l’art. 1460 c.c. solo se l’altra parte si dimostra totalmente inadempiente.

L’adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita, precisa, infatti, la Corte, consente al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutare di eseguire la prestazione richiestagli, senza un’eventuale avallo giudiziario che può essergli accordato anche urgentemente in via cautelare.

Su tali presupposti, la Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo legittimo il licenziamento irrogato dalla società.

A cura di Fieldfisher