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Cassazione: è mobbing trasferire il dipendente ad altri incarichi in maniera punitiva


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Con l’ordinanza n. 32018 del 28.10.2022, la Cassazione afferma che l’accertata esistenza di una dequalificazione integra la fattispecie del mobbing qualora il dipendente provi che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio preordinato alla prevaricazione.

Il fatto affrontato

Il lavoratore ricorre giudizialmente al fine di chiedere il risarcimento dei danni subiti a seguito delle condotte mobbizzanti poste in essere dal Comune datore.
A fondamento della predetta domanda, il medesimo deduce di essere stato immotivatamente trasferito dal dipartimento edilizia, dapprima, alla biblioteca comunale e, successivamente, all’ufficio zootecnica ed agricoltura, sino ad essere svuotato completamente delle proprie mansioni.
La Corte d’Appello, ritenendo raggiunta la prova del mobbing, accoglie la predetta domanda.

L’ordinanza

La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che si integra la fattispecie del mobbing lavorativo, qualora ricorrano:
a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.

Secondo i Giudici di legittimità, nel caso di specie, ricorrono tutti i predetti elementi, posto che il Comune aveva adottato una serie di condotte sostanzialmente punitive, mascherandole quali atti organizzativi che però nella realtà dei fatti non avevano alcuna giustificazione e apparivano evidentemente irrazionali.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso dell’Ente datore.

A cura di Fieldfisher