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Cassazione: danno alla professionalità in conseguenza di demansionamento deve essere adeguatamente provato


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Con l’ordinanza n. 17976 del 09.07.2018, la Cassazione afferma che, in caso di illegittimo demansionamento, al lavoratore coinvolto spetta il risarcimento per il danno da lesione della professionalità solamente ove lo stesso sia adeguatamente provato.

Il fatto affrontato

Il dipendente ricorre giudizialmente al fine di richiedere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’illecita condotta datoriale.
A fondamento della propria domanda deduce di aver subito, dopo la reintegra conseguente alla declaratoria giudiziale di illegittimità di un licenziamento precedentemente irrogatogli, un demansionamento e delle ingiuste contestazioni disciplinari per condotta inoperosa.
A seguito di ciò, la Corte d’Appello accoglie parzialmente la suddetta domanda, riconoscendogli il diritto al risarcimento per danno biologico, ma non anche quello per danno alla professionalità.

L’ordinanza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che, nonostante il demansionamento possa essere foriero di danni al bene immateriale della dignità professionale del lavoratore, gli stessi non sono in re ipsa, ma devono sempre essere dimostrati da chi si assume danneggiato.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, il risarcimento del danno professionale, non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio subito.

Per la sentenza, poi, non è sufficiente che la relativa prova, ai sensi dell’art. 2729 c.c., si fondi sul semplice richiamo di categorie generali (come la qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la gravità del demansionamento, la sua durata e altre simili), dovendo il giudice di merito procedere, pur nell'ambito di tali categorie, ad una precisa individuazione dei fatti che assume idonei e rilevanti ai fini della causazione del danno, alla stregua di canoni di probabilità e regole di comune esperienza.

Posto che, nel caso di specie, il lavoratore non aveva neppure dedotto in cosa sarebbe consistito il lamentato danno, omettendo di fornire al giudicante i parametri necessari per giungere ad una valutazione seppure presuntiva, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal medesimo.

A cura di Fieldfisher