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Cassazione: criteri di quantificazione ed onere della prova del risarcimento del danno da perdita di chance


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Con la sentenza n. 4100 del 18.02.2020, la Cassazione afferma che il danno provocato dall'illegittima esclusione da una graduatoria non può essere considerato "in re ipsa", ma deve essere provato dal lavoratore che lo deduce secondo la regola generale dell'art. 2697 c.c.

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre giudizialmente al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali, morali ed alla vita di relazione subiti per effetto dell'esclusione - già dichiarata illegittima - dalle selezioni previste per il conseguimento della promozione.

La sentenza

La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - afferma che il lavoratore che lamenti la violazione, da parte del datore, dell'obbligo di osservare la par condicio fra gli aspiranti alla promozione e chieda il risarcimento dei danni derivanti dalla perdita di chance, deve fornire gli elementi atti a dimostrare la possibilità che egli avrebbe avuto di conseguire la promozione, sulla base di un calcolo delle probabilità.

Per la sentenza, tale possibilità non può, però, derivare dal semplice calcolo matematico tra numero dei concorrenti e funzioni da assegnare, ma deve tenere conto anche dei vari requisiti posseduti dai candidati, essendo necessaria una comparazione dei titoli.

Secondo i Giudici di legittimità, è, dunque, il lavoratore che deduca di essere stato illecitamente estromesso da una graduatoria a dover provare in ogni modo, anche per presunzioni, di aver subito il relativo danno.

Su tali presupposti - non ritenendo, nel caso di specie, raggiunta la prova della sussistenza di un danno economicamente valutabile - la Suprema Corte rigetta il ricorso della lavoratrice.

A cura di Fieldfisher