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Tribunale di Pavia: onere della prova in materia di mobbing


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Con la sentenza n. 149 del 08.06.2018, il Tribunale di Pavia afferma che, nella fattispecie di mobbing, grava sul lavoratore l’onere di allegare e provare tutti i fatti di inadempimento nonché la compiuta conoscenza o conoscibilità da parte del datore delle condotte persecutorie dei colleghi: solo in tale circostanza è possibile distinguere le condotte mobbizzanti dai non rilevanti atteggiamenti di conflittualità presenti nei rapporti d’ufficio (sul medesimo argomento si veda: Tribunale di Ascoli Piceno: se manca l’intento persecutorio non è integrata la fattispecie di mobbing).

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre giudizialmente al fine di richiedere il risarcimento dei danni a causa delle condotte mobbizzanti subite nel luogo di lavoro e consistenti nel depauperamento delle mansioni, nel rifiuto alla concessione delle ferie richieste e nel mancato invito alla cena aziendale natalizia.
A fondamento della predetta domanda, la medesima sostiene di aver subito le citate condotte vessatorie a causa della propria patologia epilettica che la portava ad assentarsi spesso dal lavoro per malattia.

La sentenza

Il Tribunale, preliminarmente, ribadisce l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale che qualifica il mobbing come una condotta del datore di lavoro, del superiore gerarchico o dei colleghi, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del prestatore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psico-fisico e del complesso della sua personalità.

Per la sentenza, pertanto, elementi rilevanti ai fini della configurazione della fattispecie giuridica del mobbing sono:
• la molteplicità dei comportamenti di carattere persecutorio;
• l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
• il nesso eziologico tra la condotta vessatoria ed il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;
• l’elemento soggettivo, ossia la finalità persecutoria tesa alla dequalificazione, svalutazione, emarginazione del prestatore.

L’onere di provare la sussistenza delle predette circostanze, sì da ricondurre un determinato atteggiamento nell’alveo del mobbing, secondo il Giudice, grava esclusivamente sul lavoratore.

Su tali presupposti, non ritenendo assolto tale onere probatorio nel caso di specie, il Tribunale di Pavia respinge il ricorso proposto dalla lavoratrice.

A cura di Fieldfisher