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Cassazione: risarcito per mobbing il dipendente privato dei poteri gerarchici e di gestione


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Con la sentenza n. 10285 del 27.04.2018, la Cassazione afferma che il carattere ostile, pretestuoso ed ingiustificato dei comportamenti tenuti dal datore a danno di un proprio dipendente costituisce accertamento dell’intento persecutorio unificante tutte le condotte lesive della dignità del lavoratore, che deve perciò essere risarcito per i danni da mobbing.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, vicecomandante dei vigili urbani, nominato Responsabile del Servizio di Polizia Amministrativa, ricorre giudizialmente al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa di una serie di atti e comportamenti integranti la fattispecie del mobbing posti in essere nei suoi confronti.
A fondamento della propria domanda deduce di esser stato lasciato privo di uomini al suo comando e di mezzi adeguati per espletare i suoi compiti, tanto da svilire, con reiterati episodi (mancata consultazione nella riorganizzazione degli uffici, mancata inclusione nei piani di lavoro, distrazione della posta), anche l’importante ruolo assegnatogli.

La sentenza

La Cassazione, preliminarmente, ribadisce che, ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo, devono ricorrere i seguenti elementi:
• una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
• l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
• il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
• l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi. 

Posto che nel caso di specie ricorrono tutti i suddetti requisiti e che il carattere ostile, pretestuoso ed ingiustificato delle singole condotte costituisce accertamento dell'intento persecutorio unificante dei vari comportamenti lesivi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal Comune, riconoscendo il diritto del dipendente a vedersi ristorato per i danni scaturenti dalle condotte mobbizzanti subite.

A cura di Fieldfisher