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Cassazione: è responsabile il datore per il danno provocato al dipendente dalle ripetute rapine


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Con l’ordinanza n. 15105 del 15.07.2020, la Cassazione afferma che il datore deve essere ritenuto responsabile per i danni alla salute derivati ai dipendenti da plurimi eventi di rapina, qualora lo stesso non abbia attuato misure sufficienti a garantire l'incolumità dei lavoratori in un ambiente ad elevata pericolosità.

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre giudizialmente nei confronti della società datrice e dell'INAIL, al fine di ottenere il risarcimento del danno biologico derivatole da un disturbo post-traumatico da stress di grado grave, conseguente alle dieci rapine subite presso l’ufficio cui era adibita tra il 1985 ed il 2005.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, sul presupposto che le molteplici misure adottate dall’impresa non erano finalizzate a proteggere i lavoratori impiegati presso gli uffici a rischio, avendo piuttosto l’obiettivo di fare in modo che le rapine non recassero troppo danno all'azienda.

L’ordinanza

La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - afferma, preliminarmente, che in caso di attività lavorativa divenuta pericolosa, la responsabilità del datore ai sensi dell'art. 2087 c.c., pur non configurando un’ipotesi di responsabilità oggettiva, non può ritenersi circoscritta alla violazione di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate.
La stessa deve essere, infatti, volta a sanzionare l'omessa predisposizione di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore, tenuto conto della concreta realtà aziendale, del tipo di lavorazione e del connesso rischio.

Invero, secondo i Giudici di legittimità, la mancata predisposizione di tutti i dispositivi di sicurezza viola l'art. 32 della Costituzione, che garantisce il diritto alla salute come primario ed originario dell'individuo e che deve ritenersi prevalente rispetto all’interesse patrimonialistico dell’imprenditore, pur essendo anch’esso tutelato a livello costituzionale dall’art. 41.

Per la sentenza, ne consegue che - in base alle clausole generali di correttezza e buona fede - il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le cautele previste in via generale e specifica dalle norme antinfortunistiche, al fine di tutelare i propri dipendenti.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della società, stante la mancata prova liberatoria circa l’adozione delle opportune misure di prevenzione atte a preservare l'integrità psico-fisica della lavoratrice danneggiata.

A cura di Fieldfisher