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Cassazione: datore condannato per mobbing se non tutela la serenità dei propri dipendenti


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Con la sentenza n. 27913 del 04.12.2020, la Cassazione afferma che il datore di lavoro è obbligato a predisporre tutte le misure necessarie a preservare i propri dipendenti dalla lesione della loro integrità psico-fisica che possa avvenire nell'ambiente o in costanza di lavoro, anche in relazione ad eventi che non siano collegati direttamente alle condotte dell’imprenditore.

Il fatto affrontato

La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole, chiedendo - al contempo - la condanna della società al pagamento della somma di € 5.422,50, a titolo di risarcimento del danno da invalidità temporanea conseguente al mobbing posto in essere nei suoi confronti.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, deducendo che il legale rappresentate dell’azienda datrice, nonostante sia stato prontamente messo al corrente degli episodi, non abbia voluto né indagare a fondo la questione né attuare provvedimenti disciplinari idonei a tutelare la situazione problematica prospettatagli dalla ricorrente.

La sentenza

La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - afferma che il datore di lavoro, anche quando non si sia reso protagonista diretto delle condotte vessatorie, non può andare esente da responsabilità, rispetto ai propri obblighi di tutela previsti dall'art. 2087 c.c., laddove non ponga in essere gli accorgimenti necessari a tutela del dipendente mobbizzato.

Secondo i Giudici di legittimità, sotto questo punto di vista, il datore di lavoro ha, infatti, un ruolo di vero e proprio garante, in forza di quanto previsto dalla Costituzione.

Invero - per la sentenza - ai sensi dell’art. 41 Cost., l’iniziativa economica privata è subordinata all’utilità sociale che va intesa non tanto come mero benessere economico e materiale della collettività, quanto, soprattutto, come realizzazione di un pieno e libero sviluppo della persona umana e dei connessi valori di sicurezza, libertà e dignità all’interno dell’ambito produttivo.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando la debenza del risarcimento riconosciuto dalla lavoratrice a titolo di mobbing.

A cura di Fieldfisher