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Cassazione: danno morale al lavoratore che presta l’attività in ambiente insalubre


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Con l’ordinanza n. 19621 del 17.06.2022, la Corte di Cassazione afferma che, in caso di svolgimento della prestazione in ambiente insalubre, il lavoratore ha diritto a vedersi liquidato un danno morale – provocato dalla paura per la propria salute – anche in assenza di un danno biologico certificato.

Il fatto affrontato

Gli eredi del lavoratore ricorrono giudizialmente, al fine di ottenere il risarcimento del danno morale dallo stesso subìto, a causa dell’esposizione all’amianto e ad altri agenti morbigeni, nell’espletamento della prestazione lavorativa.
 La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda ed esclude il riconoscimento del danno morale, non ritenendo sufficiente a tal fine la prova del mero svolgimento della prestazione in un ambiente inquinato, ma richiedendo anche la prova di un effettivo turbamento psichico.

L’ordinanza

La Cassazione rileva, preliminarmente, che il danno morale - rappresentato dalla costante paura di ammalarsi - può essere provato attraverso indizi e presunzioni, configurando una sofferenza interiore che, come tutti i moti dell’animo, è difficilmente accertabile scientificamente.

In particolare, secondo i Giudici di legittimità, attraverso le presunzioni è possibile giungere alla configurazione di un danno consistente nell’offesa alla personalità morale del lavoratore, sottoposto quotidianamente alla paura per la propria salute al punto da alterare le proprie abitudini di vita.

Per la sentenza, proprio da tale alterazione deriva la lesione morale ai diritti inviolabili della persona, tutelati a livello costituzionale.

Sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte accoglie il ricorso degli eredi del lavoratore, riconoscendo l’autonomia del danno morale indipendentemente dall’esistenza di un danno biologico documentato.

A cura di Fieldfisher