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Appalti e art. 17-bis: il committente come ufficio del personale di appaltatore e subappaltatore?


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1. Le informazioni che riceve il committente da appaltatore e subappaltatore

Anche dopo l’approvazione dello schema di certificazione di regolarità di cui al comma 5 dell’art. 17-bis del d.lgs. n.241/1997, restano tanti i motivi di critica della normativa riscontrabile in tale articolo.
Dopo aver già trattato di alcuni di questi (…), ci si concentra sulle informazioni che il committente deve ricevere dall’appaltatore e dall’eventuale subappaltatore e sull’uso che lo stesso committente è tenuto a farne.
A questo fine, è necessario avere ben presente il testo legislativo che, oltre agli F24, chiede che al committente siano comunicati anche “il dettaglio delle ore di lavoro prestate da ciascun percipiente in esecuzione dell’opera o del servizio affidato, l’ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione e il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti di tale lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente” (comma 2 dell’art. 17-bis).
A fronte di tali disposizioni, il successivo comma 3 prospetta ipotesi in cui risulti che appaltatori o subappaltatori “… non abbiano ottemperato all'obbligo di trasmettere al committente le deleghe di pagamento e le informazioni relative ai lavoratori impiegati di cui al medesimo comma 2 ovvero risulti l'omesso o insufficiente versamento delle ritenute fiscali rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa …“.
Considerando l’ipotesi di mancata trasmissione di quanto dovuto e, altresì, l’ipotesi in cui “… risulti l'omesso o insufficiente versamento delle ritenute fiscali rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa …”, la nuova normativa impone al committente di “… sospendere, finché perdura l'inadempimento, il pagamento dei corrispettivi maturati dall'impresa appaltatrice o affidataria sino a concorrenza del 20 per cento del valore complessivo dell'opera o del servizio ovvero per un importo pari all'ammontare delle ritenute non versate rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa, dandone comunicazione entro novanta giorni all'ufficio dell'Agenzia delle entrate territorialmente competente nei suoi confronti”. Non attenersi a tale comportamento comporta per il committente l’obbligo del “… pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata all'impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice per la violazione degli obblighi di corretta determinazione delle ritenute e di corretta esecuzione delle stesse, nonché di tempestivo versamento …” (comma 4).

1.1. L’attività di controllo richiesta dall’art. 17-bis

Un’interpretazione di tale complessiva disciplina, che appare abbastanza semplice, porta a ritenere che la suddetta sanzione sia applicabile quando il committente, pur in carenza della documentazione prevista, non sospende il pagamento dei corrispettivi per l’esecuzione dell’opera o del servizio.
Una certa problematicità accompagna la previsione secondo cui la sanzione consegue anche all’insufficiente versamento delle ritenute fiscali (oltre che all’omissione delle stesse).
La formulazione letterale della disposizione legislativa non consente di escludere che una qualche verifica il committente debba farla, peraltro entro limiti che la stessa disposizione rende evidenti.
La sospensione è, infatti, richiesta dall’insufficienza delle trattenute rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa: la verifica, pertanto, è circoscritta a quanto può ricavarsi dai documenti ricevuti e non risulta previsto che il committente debba andare oltre.
In sostanza, l’incompletezza della documentazione ricevuta esige, già di per sé, la sospensione.
Se invece la documentazione ricevuta è completa, il committente deve sospendere, nella misura prevista, il pagamento se dalla stessa, per i dati in essa presenti e solamente per tali dati, si ricava l’insufficienza delle trattenute.

 

2. L’attività di controllo richiesta dalla Circolare n.1/E dell’Agenzia delle entrate

A fronte dell’interpretazione delle suddette disposizioni sopra prospettata, è opportuno verificare come l’Agenzia delle entrate interpreta, nella Circolare n. 1/E del 12 febbraio 2020, le medesime disposizioni.
A tal fine, sono da considerare alcuni passaggi della circolare, fra i quali i seguenti: “Espressa finalità dell’obbligo di comunicazione dei dati sopra descritti è consentire al committente il riscontro dell’ammontare complessivo degli importi versati dalle imprese appaltatrici o affidatarie e dalle imprese subappaltatrici. Il committente assolverà il suo obbligo di riscontro dopo aver verificato:
• che la retribuzione oraria corrisposta a ciascun lavoratore non sia manifestamente incongrua rispetto all’opera prestata dal lavoratore; in particolare, ancorché il riscontro dovrà basarsi su elementi cartolari (ad esempio, sulla verifica della corrispondenza tra le deleghe di versamento e la documentazione fornita), lo stesso dovrà essere accompagnato da una valutazione finalizzata a verificare, tra l’altro, la coerenza tra l’ammontare delle retribuzioni e gli elementi pubblicamente disponibili (come nel caso di contratti collettivi), l’effettiva presenza dei lavoratori presso la sede del committente;
• che le ritenute fiscali per ciascun lavoratore non siano manifestamente incongrue rispetto all’ammontare della relativa retribuzione corrisposta. In caso di ritenute fiscali manifestamente incongrue rispetto alla retribuzione imponibile ai fini fiscali, il committente sarà tenuto a richiedere le relative motivazioni e gli affidatari saranno tenuti a fornirle. Per esigenze di semplificazione, le ritenute fiscali non saranno manifestamente incongrue allorché siano superiori al 15 per cento della retribuzione imponibile ai fini fiscali
…”.
Le trattenute sono da effettuare in percentuale della retribuzione lorda. La misura della retribuzione condiziona, pertanto, la misura delle trattenute.
Questo è innegabile, ma affidare al committente il compito di verificare la congruità della retribuzione quale base del computo delle trattenute sembra andare oltre quanto richiesto dalla legge.
La legge, infatti, responsabilizza il committente, ma non dà affatto a vedere di chiedergli la verifica circa la congruità della base imponibile assunta dall’appaltatore e, se del caso, dal subappaltatore.
La Circolare, invero, pone dei limiti al riguardo.
Secondo la Circolare, la verifica addossata al committente deve limitarsi a cogliere solo la manifesta incongruità della retribuzione oraria rispetto all’opera prestata e la verifica è da effettuare “su elementi cartolari”.
Si tratta di precisazioni che appaiono anche contraddittorie ove si consideri tutto quanto la Circolare afferma.
Affermare, come viene aggiunto dalla Circolare, che il committente deve vagliare la congruità/incongruità della retribuzione “rispetto all’opera prestata” e, ancora, deve tener conto della “effettiva presenza dei lavoratori presso la sede del committente” significa fare riferimento ad aspetti, di per sé, non rilevabili in via cartolare.
Accertare “la coerenza tra l’ammontare delle retribuzioni applicate e gli elementi pubblicamente disponibili (come nel caso dei contratti collettivi)” significa, inoltre, evocare una questione che, in casi concreti, può risultare altamente incerta già a partire dall’individuazione del contratto cui far riferimento e comunque impegnativa per quanto attiene al calcolo della retribuzione dovuta a stregua del contratto di riferimento una volta individuato.
Come riportato sopra, la Circolare, inoltre, fornisce indicazioni circa la verifica richiesta al committente sulla congruità delle ritenute rispetto all’ammontare della retribuzione.
E’ di immediata evidenza, segnatamente, il riferimento al parametro della “retribuzione corrisposta” che nel successivo passaggio diviene “retribuzione imponibile ai fini fiscali”. Come se “retribuzione corrisposta” e “retribuzione imponibile ai fini fiscali” fossero un’endiade.
Così evidentemente non è, nella considerazione della minuziosa e complessa disciplina del reddito da lavoro dipendente recata dal Testo unico delle imposte sui redditi.
Ciò è tanto vero che viene espressamente esclusa la manifesta non congruità delle ritenute che “siano superiori al 15 per cento della retribuzione imponibile ai fini fiscali”.
Può essere che risulti incerta l’appartenenza delle erogazioni effettuate a favore del lavoratore alla retribuzione ai fini fiscali.
Il riferimento alla “retribuzione imponibile ai fini fiscali” comporta che il committente debba procedere ad un’ulteriore verifica, facendosi carico di questioni relative ad erogazioni di incerto regime fiscale?
Sembra davvero troppo.

 

3. Quanti controlli di interesse pubblico affidati a privati

La norma in commento, nell’affidare ai privati l’attività di controllo sul corretto adempimento degli obblighi fiscali, non costituisce per nulla una novità.
Analoghi precedenti (con sanzioni specifiche in caso di inadempimento puntuale della specifica attività di controllo richiesta) già operano in ambiti ben più ampi del contratto di appalto. E tal proposito non si intende richiamare istituti, come la sostituzione di imposta o la solidarietà, che da tempo risalente albergano nell’ordinamento tributario a presidio del gettito erariale.
Il comparto dell’IVA ne è forse l’esempio più lampante: qui operano svariati e differenti istituti, tutti accumunati nella individuazione della controparte negoziale del rapporto giuridico quale “verificatore” in prima istanza del corretto adempimento tributario.
Il riferimento non può non trovarsi nel meccanismo del reverse charge domestico, nello split payment ovvero ancora nell’autofattura “spia” di cui all’articolo 6, comma 8, del D.lgs. n. 471 del 1997. Proprio quest’ultimo istituto - anche in relazione dell’applicazione lata da parte degli Uffici in sede di irrogazione di sanzioni - offre uno spunto di riflessione circa l’interpretazione che ne ha fornito la giurisprudenza di Cassazione.
Soccorrono al riguardo, tra le tante, Cass. civ. Sez. V, 12-12-2014, n. 26183; Cass. civ. Sez. V, 21-07-2015, n. 15302; Cass. civ. Sez. V, 18-01-2019, n. 1306.
Segnatamente, si ritiene utile richiamare quanto affermato dalla Suprema Corte nella sentenza 15302, laddove argomenta che “l’inclusione, fra i compiti del cessionario o committente, di un apprezzamento critico, su quanto l’emittente di fattura completa dichiari in ordine alla non imponibilità dell’operazione, trasformerebbe l’obbligato in rivalsa in un collaboratore con supplenza in funzioni di esclusiva pertinenza dell’ufficio finanziario”.
Orbene, la formula usata dalla Suprema Corte - “collaboratore con supplenza in funzioni di esclusiva pertinenza dell’ufficio finanziario” - potrebbe tornare alla mente dell’operatore tributario allorché veda delineata l’attività di controllo sul corretto adempimento degli obblighi fiscali richiesta al committente nel contratto di appalto dal nuovo articolo 17-bis.
Sembra al riguardo lecito argomentare che il legittimo obiettivo di presidiare il corretto adempimento degli obblighi fiscali (ma anche contributivi), poteva essere ben perseguito dal Legislatore, “nel rispetto delle funzioni di esclusiva pertinenza dell’ufficio finanziario”, prevedendo in capo ai contribuenti - in luogo del farraginoso meccanismo di riscontro documentale sulla corretta esecuzione delle ritenute - insieme ad altre misure di contrasto, precisi e tempestivi obblighi comunicativi circa l’instaurazione, la conclusione o la modificazione soggettiva di rapporti di appalto consentendo, in tal modo, all’ufficio, reso perfettamente edotto di tali rapporti, di orientare la propria attività di verifica.

Prof. Avv. Angelo Pandolfo & Dottore commercialista Antonio Vicentini - Fieldfisher