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Risorse umane e assetti organizzativi dell’impresa. La riforma dell'art. 2086 CC.


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Il Codice della crisi d’impresa (d.lgs. n. 14/2019 e successive modifiche e integrazioni) ha modificato l’art. 2086 del codice civile con innovazioni che stanno suscitando, a ragione, grande attenzione. 

“L’imprenditore , che operi in forma societaria o collettiva ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alla dimensione dell’impresa”: è quanto prevede il comma 2 che il Codice ha aggiunto all’art. 2086. 

L’assetto adeguato è da adottare e rendere operativo come valore in sé, come essenziale ed utile modo di essere e di operare dell’imprenditore che, continuando ad impiegare le parole della legge, “operi in forma societaria”. 

Dell’ assetto adeguato, peraltro, già l’art. 2086 mette in luce una specifica funzione: difatti, l’assetto adeguato è da esso richiesto “anche in funzione della rilevazione della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale …”.

Un “anche”, dunque, importante che, sottolineando un non secondario fine dell’assetto adeguato, concorre (indirettamente ma) significativamente anche a chiarire come l’assetto debba essere inteso e concretamente congegnato ed attuato. 

L’art. 2086 rinnovato fra preesistenti e nuove disposizioni sulla prevenzione della crisi d’impresa - Il peso dell’art. 2086, comma 2, risalta ancor di più vedendolo nella trama legislativa di cui fa parte. 

La combinazione degli art. 2381 e 2403, riguardante le società per azioni nelle versione derivata dalla riforma del 2003 , è decisamente impegnativa: gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni della impresa …”; il collegio dei sindaci , da parte sua, … vigila …in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento”. 

Quando poi viene considerato più direttamente il rischio della crisi, è davvero imponente l’insieme delle disposizioni che si combinano muovendo nella medesima direzione. 

E’ innanzitutto l’art. 3, comma 2, del Codice della crisi a ribadire che l’imprenditore collettivo ha il dovere di istituire l’assetto di cui all’art. 2086 (anche) “ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative”. 

Assetto del quale non si manca di indicare le specifiche performance attese: rilevazione di eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario; verifica della sostenibilità dei debiti e delle prospettive di continuità aziendale; acquisizione delle informazioni necessarie per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento dell’impresa. 

La sinergia fra organi di amministrazione attiva e organi di controllo, inoltre, è viepiù enfatizzata: ove il collegio dei sindaci rilevi la probabilità della crisi, deve darne comunicazione motivata al consiglio di amministrazione indicando un termine breve, non superiore a 30 giorni, entro cui il consiglio è tenuto a riferire sulle iniziative intraprese ( art. 25-octies CCI). 

Ai meccanismi di allerta interna, se ne affiancano altri che possono definirsi di allerta esterna

Viene in risalto, da questo ulteriore punto di vista, la responsabilizzazione di creditori pubblici qualificati - Inps, Inail, Agenzia delle entrate, Agenzia delle entrate-Riscossioni (art. 25-novies CCI) - tenuti a procedere a segnalazioni di mancati pagamenti che risultino superiori a determinate soglie. 

Segnalazioni, indirizzate all’organo di amministrazione e all’organo di controllo della società inadempiente, che ancor di più impegnano tali organi a valutare la situazione in essere, anche nella prospettiva del ricorso alla procedura di composizione negoziata a fronte di squilibri “ … che … rendono probabile la crisi o l’insolvenza …” (art. 12 CCI). 

A tutta questa schiera di iniziative pensate con lo scopo di reagire tempestivamente ad avvisaglie di crisi, si aggiunge la responsabilizzazione delle banche e degli intermediari finanziari (iscritti al registro di cui all’art. 106 TUB), che all’organo di controllo hanno l’obbligo di segnalare modificazioni degli affidamenti (art. 25-decies CCI). 

L’imprenditore e “ i suoi collaboratori”: una collaborazione vincente? - E’ nel quadro normativo a cui si fatto cenno che l’art. 2086 va collocato. 

Rinnovato nella rubrica, passata da “Direzione e gerarchia nell’impresa” a “Gestione dell’impresa”, e arricchito del comma 2, l’art. 2086 è tuttora da considerare anche per quanto prevede nel comma 1, sopravvissuto intatto alla riforma posta in essere dal Codice della crisi.

Questa parte storica dell’art. 2086 c.c. continua a far vedere che l’imprenditore non è un “profeta” solitario. 

L’imprenditore, come visualizza il comma 1, nella “gestione dell’impresa” opera insieme ai “suoi collaboratori” e i “collaboratori dell’imprenditore” chi sono se non i prestatori di lavoro - dagli operai ai dirigenti - di cui all’art. 2094 c.c., a sua volta norma cardine del diritto del lavoro ? 

Insomma, con la riforma dell’art. 2086 si asseconda un ampio disegno normativo, un disegno di un rinnovato diritto dell’impresa e del diritto dell’impresa il diritto del lavoro è una parte importante. 

Nella sistematica del codice civile, il rapporto di lavoro, non a caso, è collocato nella disciplina della “Impresa in generale”, come della disciplina della “Impresa in generale” fa parte l’art. 2086. 

L’organizzazione è connaturale all’idea stessa di impresa e della struttura organizzativa, come ci dice in primo luogo la dottrina economico aziendale, fanno parte (anche) i sistemi di gestione delle risorse umane. 

Questo è stato sempre vero, lo è ancora di più oggi e in prospettiva. 

Le nuove organizzazioni del lavoro, ampiamente fondate sulla digitalizzazione, ai “collaboratori dell’imprenditore” richiedono motivazione, se non identificazione con l’impresa, competenze nuove e spesso sofisticate, attitudine al problem solving, creatività. 

Per questo, la ricerca dell’adeguatezza degli assetti organizzativi, ai fini e per gli effetti dell’art. 2086, comma 2, non può non abbracciare la cura della qualità del capitale umano. 

Tecnologie e ambienti centrati sulle persone, chiarezza dei ruoli, coinvolgimento dei lavoratori, forme partecipative, ben costruiti sistemi di incentivazione, programmi di crescita professionale orientati al conseguimento e alla certificazione delle competenze, welfare aziendale, conciliazione di lavoro e vita privata sono tutte misure e componenti - essenziali - di una gestione strategica dell’azienda: misure, tutte queste, che sempre più si pongono come veri e propri investimenti in produttività, in efficienza, in reputazione (ampiamente su questi temi, C. Mio, L’azienda sostenibile, Bari-Roma, 2021). 

Promuovere la qualità del capitale umano, in un assetto organizzativo che costruttivamente ne consenta l’espressione, risponde all’interesse dell’impresa e, al tempo stesso, concorre all’adempimento dell’obbligo dello “… imprenditore che operi in forma societaria o collettiva …” di dare attuazione effettiva all’art. 2086, come - al contrario - il sistematico abbandono della cura della qualità del lavoro e la sua cattiva organizzazione potrebbero far ritenere non rispettato l’art. 2086, con possibili riflessi sulla responsabilità degli organi sociali. 

Si ritiene che il dovere di dotare la società di assetti organizzativi adeguati non interessi solo l’architettura degli organi societari, ma comporti anche l’esigenza di funzioni aziendali preposte alla produzione e all’analisi dei necessari flussi informativi (così E. Ricciardiello, La rilevanza delle fasi della crisi in punto di identificazione delle condotte doverose degli organi sociali …, in Crisi di impresa e responsabilità nelle società di capitali, Milano, 2022, p. 72). 

Può dirsi, da questo punto di vista, che, nelle sollecitazioni provenienti dal rinnovato art. 2086, la funzione HR trovi ragioni di sviluppo del suo crescente valore strategico. 

Risorse umane e competenze: la conferma del loro valore - E’ coerente con il rilievo del fattore umano la chek list predisposta dal Ministero di Giustizia (DM 28 settembre 2021) ai fini della verifica preliminare della ragionevole perseguibilità del risanamento dell’impresa tramite la composizione negoziata (prima art. 2 e ora artt. 12 ss. del CCI), che per la valutazione dell’adeguatezza dell’organizzazione aziendale pone, al primo posto, la disponibilità “di risorse chiave (umane e tecniche) per la gestione dell’attività” e, ancora, chiede di evidenziare la disponibilità, o meno, “delle competenze tecniche per iniziative industriali da attuare”, competenze tecniche che riportano ancora alla competenze delle persone dell’azienda per quanto, e in misura crescente, competenze tecniche possano essere incorporate in “macchine intelligenti”

Giusta attenzione, dunque, data alla componente umana dell’organizzazione dell’azienda, attenzione peraltro da intendere correttamente: il riferimento alle “risorse chiave” non va inteso come se contassero solamente le competenze delle persone che collaborano all’impresa essendo collocate nei livelli di inquadramento più elevati.

E’ la qualità professionale dell’insieme delle risorse umane, anche delle persone collocate nei livelli inquadramento meno elevati, a contare e a concorrere alla complessiva adeguatezza degli assetti organizzativi. 

La normativa sugli assetti adeguati e la legislazione lavoristica: quale relazione? - La relazione fra il rinnovato 2086 e le discipline lavoristiche è da considerare anche da un altro punto di vista, ponendosi la seguente domanda: l’approntamento di assetti adeguati e il mantenimento dell’adeguatezza nelle dinamiche della vita aziendale si riflette sulle condizioni di uso dei poteri del datore di lavoro di gestione dei rapporti di lavoro? 

Domanda già emersa, ricevendo risposte diverse (Tullini, Assetti organizzativi dell’impresa e poteri datoriali. La riforma dell’art. 2086 c.c.: una prima lettura, RIDL, 2020; Vallauri, Brevi note su poteri imprenditoriali e poteri datoriali alla luce del nuovo art. 2086 c.c., LD, 2021). 

La risposta preferibile muove dalla distinzione fra poteri imprenditoriali e poteri datoriali: i primi attinenti alla “gestione dell’impresa” (art. 2086 c.c.); i secondi attinenti alla gestione dei rapporti di lavoro (art. 2094 c.c.). Poteri datoriali che, anche all’indomani della riforma dell’art. 2086, continuano a trovare la loro esclusiva fonte di regolazione nella legislazione lavoristica e nella contrattazione collettiva. 

Il dovere di assicurare assetti adeguati può far avvertire, ad esempio, l’esigenza di riconsiderare l’organico aziendale. 

Ciò non toglie che un eventuale licenziamento collettivo, anche dopo la riforma dell’art. 2086, resta sotto il cappello della legge lavoristica che ne tratta (la n. 223/1991), imponendo limiti procedurali, richiedendo presupposti sostanziali (“riduzione o trasformazione di attività o di lavoro”), condizionando la scelta dei licenziandi. 

Il licenziamento collettivo sarà legittimo se conforme a tale legge; sarà illegittimo se ad essa non conforme, senza che a tal proposito abbiano diretta rilevanza giuridica gli assetti definiti e operanti a monte. 

Le scelte in tema di assetti possono concorrere all’emersione di condizioni poste dalla legislazione lavoristica, ma ciò rileva solo in via di fatto. 

Questo vale in ambedue le direzioni: come non si potrebbe considerare giustificato l’esercizio di un potere datoriale solo in nome di determinati assetti organizzativi ex art. 2086, comma 2, così non si potrebbe considerare ingiustificato l’esercizio di un potere del genere solo in nome degli assetti organizzativi. 

Riconsiderazione della responsabilità gestoria e i lavoratori fra i possibili beneficiari - La complessità a cui si è fatto cenno potrebbe emergere nel caso di una ipotetica responsabilità gestoria. 

I lavoratori non solo sono creditori dell’impresa, ma sono anche direttamente interessati alla “continuità aziendale ” di cui l’art. 2086 si preoccupa cercando di prevenirne la compromissione. 

Il quadro complessivo appare, quindi, articolato ed effettivamente complesso: la gestione del personale, per le parti in cui è soggetta a fonti eteronome, resta di competenza della legislazione lavoristica e il datore di lavoro/ imprenditore deve tenerne conto nella “gestione dell’impresa” attenta alla valorizzazione delle risorse umane; i lavoratori potrebbero rientrare, in particolari frangenti, fra i possibili beneficiari della riconsiderazione della responsabilità gestoria innescata dalla riforma dell’art. 2086 e dalle connesse disposizioni legislative che impegnano gli organi di amministrazione e gli organi di controllo nella prevenzione della crisi e della “perdita della continuità aziendale. 

Tema della responsabilità gestoria su cui, a seguito della riforma, molto si sta discutendo. 

Resta fermo il principio, fatto proprio anche dalla giurisprudenza, secondo cui le scelte gestorie, a meno che non siano manifestamente irrazionali, sono protette dalla business judgment rule

Ma questo vale anche per le scelte attuative dell’art. 2086, comma 2, o queste rientrano fra quelle sindacabili più rigorosamente secondo i principi di corretta amministrazione?

Al riguardo, si sono già avute risposte diversamente orientate (Montalenti, Assetti organizzativi e organizzazione dell’impresa tra principi di corretta amministrazione e business judgement rule, NDS, 2021; Masturzi, La rilevanza della prospettiva aziendale nella valutazione di adeguatezza degli assetti, NDS, 2021). 

Angelo Pandolfo, Partner Fieldfisher