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Corte di Giustizia Europea: individuazione del reale datore di lavoro nei contratti transnazionali


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Con la sentenza emessa, il 16.07.2020, nella causa C-610/18, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea afferma che deve essere considerato datore di lavoro, non il soggetto che stipula formalmente il contratto, ma quello che sostiene il costo salariale del dipendente ed esercita effettivamente il potere disciplinare sullo stesso.

Il fatto affrontato

I lavoratori, autotrasportatori di nazionalità olandese residenti in Olanda, ricorrono giudizialmente al fine di vedersi applicare la legislazione dei Paesi Bassi in materia di previdenza sociale.
A fondamento della predetta domanda, i medesimi deducono che, pur essendo formalmente dipendenti di una società con sede a Cipro, non avevano mai abitato né lavorato nel territorio di detto Stato.
Il Tribunale di Amsterdam, investito della questione, mediante un rinvio pregiudiziale chiede alla CGUE se -sulla base della disciplina dettata dall’art. 14, punto 1, lettera a) e dell’art. 14, punto 2, lettera a) del regolamento (CEE) n. 1408/71 - i ricorrenti dovessero essere considerati come facenti parte del personale del soggetto cipriota che aveva la posizione di formale datore di lavoro o se, invece, dovessero essere considerati dipendenti dell’impresa olandese alle dipendenze della quale avevano sempre svolto materialmente la prestazione.

La sentenza

La Corte di Giustizia afferma, preliminarmente, che la conclusione di un contratto di lavoro tra il dipendente ed un’impresa, pur essendo un indice dell’esistenza di un vincolo di subordinazione tra le parti, non è di per sé sola sufficiente a provare la reale sussistenza di un rapporto di lavoro tra le stesse.
Risulta, infatti, indispensabile tenere conto anche delle modalità con cui le obbligazioni previste dal contratto sono in pratica eseguite.

Secondo i Giudici, dunque, a prescindere dalla lettera dei contratti, deve essere considerato quale reale datore l’imprenditore da cui dipende gerarchicamente il lavoratore, ossia il soggetto sul quale grava, di fatto, il costo salariale e che dispone dell’effettivo potere disciplinare.

Per la sentenza, tale principio risponde alla ratio del regolamento (CEE) n. 1408/71, che è quella di assicurare la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione europea, sempre, però, nel pieno rispetto delle peculiarità delle legislazioni nazionali in ambito previdenziale.

A detta della CGUE, le deroghe alla disciplina dettata in materia rappresentano, infatti, un’eccezione che non può trovare giustificazione sulla base di considerazioni meramente formali, quali la conclusione di un contratto di lavoro con un soggetto diverso dal reale datore.

A cura di Fieldfisher