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Cassazione: la prova della malattia professionale non tabellata


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Con la sentenza n. 26041 del 17.10.2018, la Cassazione afferma che, in tema di malattia professionale non tabellata, la prova della causa di lavoro grava interamente sul prestatore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza (sul medesimo tema vedi: Cassazione: spetta all’INAIL provare l’origine non professionale della malattia che ha colpito il lavoratore).

Il fatto affrontato

Il lavoratore, esercente la professione di veterinario, agisce in giudizio nei confronti dell'INAIL per l'accertamento dell'origine professionale della neuropatia motoria multifocale che lo aveva colpito, chiedendo la conseguente condanna dell'Istituto al pagamento delle relative indennità.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che, nel caso di malattia professionale non tabellata la prova della causa di lavoro, gravante sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza.
Ciò significa che deve essere esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, potendo, invece, ravvisarsi l’origine professionale solo in presenza di un rilevante grado di probabilità.

A tale riguardo, secondo la sentenza, il giudice deve non solo consentire all'assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve valutare, altresì, le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale.
Per questa finalità, è necessario far ricorso ad ogni iniziativa diretta ad acquisire ulteriori elementi in relazione all'entità ed all'esposizione del lavoratore ai fattori di rischio, tenuto presente che la natura professionale della malattia può essere desunta con elevato grado di probabilità dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell'ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione e dall'assenza di altri fattori extra-lavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della patologia.

Su tali presupposti, la Suprema Corte, mancando la prova che l'infezione fosse stata contratta nell'esercizio della professione, posto che il lavoratore non aveva riferito di alcun incidente lavorativo nel quale il contagio sarebbe avvenuto, rigetta il ricorso proposto dal medesimo.

A cura di Fieldfisher