Lo stato di emergenza dettato dall’imperversare dell’epidemia da COVID-19 ha reso evidente l’importanza dello smart-working all’interno del panorama socio-economico attuale.
In questi due anni di pandemia, la regolazione del c.d. lavoro-agile è stata caratterizzata da una deroga continua alla disciplina originariamente dettata dalla L. 81/2017.
In particolare, i vari provvedimenti legislativi intervenuti in materia hanno previsto, a più riprese, la possibilità di ricorrere ad uno smart-working “semplificato”, ossia attuabile senza quello specifico accordo individuale tra dipendente e parte datoriale che, l’art. 18 della L. 81/2017, aveva indicato quale presupposto essenziale.
L’utilizzo massivo ed intensificato del lavoro agile in questo ultimo periodo, ha indotto il Legislatore a mettere mano alla normativa regolatrice dell’istituto, emanata appunto nel 2017, allorquando il ricorso allo smart-working era un fenomeno ancora marginale.
Numerose sono state le proposte di legge pervenute sul tema nei mesi scorsi, tanto che la Commissione Lavoro della Camera, lo scorso 16 marzo, ha promulgato un “Testo unificato adottato come testo base” (di seguito per brevità anche TU) in cui sono confluiti i vari disegni di legge.
Testo che ovviamente dovrà essere oggetto di discussione in Parlamento, ove potrebbe essere radicalmente modificato.
Pietra miliare di detto TU è sicuramente la modifica che l’art. 1 apporta all’art. 18 della L. 81/2017.
La prima importante novità è – senza alcun dubbio – la centralità che viene riconosciuta alle Parti Sociali.
È, infatti, la contrattazione collettiva che dovrà disciplinare gli aspetti più importanti della prestazione svolta in smart-working e, in particolare:
“a) la responsabilità del datore di lavoro e del lavoratore per quanto attiene alla sicurezza e al buon funzionamento degli strumenti tecnologici;
b) nell’ambito di una riorganizzazione del metodo di lavoro interno all’azienda, il diritto alla priorità concernente le richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile presentate dai seguenti soggetti:
1) dalle lavoratrici e dai lavoratori nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità e di paternità, previsto dall’articolo 16 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151;
2) dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104;
3) dai lavoratori di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104;
4) dai lavoratori che svolgono funzione di caregiver familiare, come definito dall’articolo 1, comma 255, della legge 27 dicembre 2017, n. 205.
c) l’equiparazione del lavoratore che svolge la propria attività lavorativa in modalità agile con il personale operante in presenza ai fini del trattamento economico e normativo, del diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro, nonché dello sviluppo delle opportunità di carriera e crescita retributiva, del diritto alla formazione a all’apprendimento permanente e alla periodica certificazione delle relative competenze;
d) il diritto a usufruire delle ferie e dei permessi, con le modalità previste dalla legge e dai contratti collettivi;
e) il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche, dalle piattaforme informatiche e da qualsiasi strumento e/o applicativo di comunicazione”.
Rimane, ovviamente, indispensabile la sottoscrizione dell’accordo individuale tra datore di lavoro ed il dipendente che decide di aderire, sempre su base volontaria, allo smart-working.
L’art. 3 del TU prevede la necessità di un accordo molto più specifico ed approfondito rispetto a quello originariamente richiesto dalla L. 81/2017.
In particolare, secondo l’emananda normativa, l’accordo dovrà obbligatoriamente contenere:
“a) la durata dell’accordo;
b) l’alternanza tra i periodi di lavoro agile all’interno e all’esterno dei locali aziendali;
c) il monte ore di almeno il 30 per cento da dedicare a ciascuna attività in modalità agile, in quanto compatibile;
d) le fasce orarie di reperibilità per i lavoratori in modalità agile;
e) l’informativa in materia di sicurezza sul lavoro;
f) le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro al fine di garantire al lavoratore medesimo il rispetto effettivo dei tempi di riposo giornaliero e settimanale nonché i riposi durante lo svolgimento della prestazione lavorativa, con particolare riguardo ai lavoratori che utilizzano in modo continuativo monitor e terminali;
g) l’attività formativa eventualmente necessaria per lo svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile, di cui all’articolo 7”.
Invariata rimane, da un lato, la possibilità di stipulare accordi sia a termine che a tempo indeterminato e, dall’altro lato, il diritto di recesso delle parti con preavviso di 30 giorni o senza necessità di alcun preavviso in presenza di un giustificato motivo.
Decisamente forzata appare, invece, l’introduzione della previsione secondo cui la mancata promozione degli accordi individuali di cui sopra integra condotta anti-sindacale.
Altre tematiche che la norma in commento pone come centrali sono, senza alcun dubbio, il diritto alla disconnessione, la sicurezza degli smart-worker e, infine, la formazione dei medesimi.
Per ciò che concerne la disconnessione, l’art. 4 del TU prova a dare una specifica definizione, prevedendo espressamente che: “Il lavoratore, sia in modalità ordinaria, sia in modalità agile, è sempre titolare del diritto soggettivo alla disconnessione da intendersi come il diritto di estraniarsi dallo spazio digitale e di interromperne la connessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche in proprio possesso, senza che questo possa comportare effetti negativi di natura disciplinare o decurtazioni retributive”.
Anche in questo caso, la norma rimanda direttamente alla contrattazione collettiva la disciplina degli orari di disconnessione.
Appare utile notare che il Legislatore, evidentemente conscio delle peculiarità dello svolgimento della prestazione in regime di lavoro agile, prevede che in presenza di mansioni svolte in smart-working possa essere prevista una deroga alla disciplina in materia di riposo, pause, lavoro notturno e durata massima giornaliera (deroga che l’art. 17 del D.Lgs. 66/2003 aveva già previsto per i dirigenti, la manodopera familiare, i lavoratori del settore liturgico, nonché per i rapporti di lavoro a domicilio e di tele-lavoro).
In ordine alla sicurezza, invece, il TU – a tutela della salute degli smart-worker – prevede la necessità di valutare i rischi connessi e/o collegati alle attrezzature munite di videoterminali e alla connettività in rete.
Per quanto attiene, poi, alla formazione, il TU prevede che la stessa abbia le caratteristiche della continuità e della permanenza e si declini in corsi sia di formazione primaria che di aggiornamento.
Finalità questa tanto fondamentale da essere finanziata pubblicamente con il Fondo nuove competenze e con le risorse messe a disposizione dal Programma nazionale per la garanzia e la occupabilità dei lavoratori (c.d. GOL).
Ulteriori perplessità non può non destare, invece, l’abrogazione della disciplina, attualmente contenuta nell’art. 21 della L. 81/2017, inerente al potere di controllo e disciplinare del datore di lavoro con riferimento alla prestazione resa dagli smart-worker.
Vero è che l’equiparazione del lavoro agile allo svolgimento delle mansioni in presenza comporta l’estensione dell’intera disciplina – ivi inclusa quella inerente ai poteri datoriali – alla fattispecie in commento, ma un riferimento più preciso all’interno di una norma che vorrebbe fungere quasi da testo unico era quantomeno auspicabile al fine di non creare distonie o vuoti legislativi di sorta.
Infine, si rileva che la spinta propulsiva della normativa in esame in favore dello smart-working è alquanto evidente se si considera che il TU prevede:
• un credito di imposta per le somme spese dalle aziende al fine di acquistare strumenti informatici destinati ad agevolare le attività in modalità agile (art. 8);
• un incentivo – consistente nella riduzione pari all’1% sui premi assicurativi a carico del datore dovuti all’INAIL – per le aziende che attivano il lavoro in modalità agile (art. 9);
• l’istituzione di un Fondo, con una dotazione pari a 80 milioni di euro annui, per la promozione del lavoro agile (art. 10);
• la creazione di una raccolta, presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, di buone prassi realizzate nell’attivazione dello smart-working (art. 11).
Misure queste che appaiono, indubbiamente, condivisibili, ma per le quali manca l’indicazione delle relative coperture finanziarie.
Adesso la palla passerà al Parlamento e non vi sono dubbi che – alla luce dell’importanza assunta dallo smart-working nel panorama giuslavoristico italiano – la discussione sarà tutt’altro che semplice e scontata.
Avv. Matteo Farnetani - Fieldfisher