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DDL Lavoro : Nuove modifiche alla somministrazione di lavoro


Per alcuni è il ddl lavoro, per altri è il collegato lavoro. Di certo sappiamo che è un provvedimento di lunga gestazione, dapprima disegno di legge approvato nel Consiglio dei ministri del primo maggio 2023 e poi collegato alla legge di bilancio 2024.

Dopo stralci, rinvii e approvazioni di importanti emendamenti in commissione lavoro (ormai sempre di più, le commissioni parlamentari sono veri luoghi dove “si fanno le leggi”), mercoledì 8 ottobre la Camera dei deputati ha approvato il DDL in prima lettura. Ora, come sentiamo dire sempre in questi casi, il testo passa al Senato per la seconda lettura. Se il Senato confermerà, il testo uscito dalla Camera diverrà Legge dello Stato, entrando in vigore - salvo diversa previsione - decorsi i 15 giorni canonici dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Mi è stato chiesto di scrivere qui delle novità in tema di somministrazione di lavoro. Ci provo, ringraziando innanzitutto i curatori di questo sito per la richiesta e l’ospitalità.

Art. 10. (Modifiche al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di somministrazione di lavoro)

1. Al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 31:

1) al comma 1, il quinto e il sesto periodo sono soppressi;

La soppressione di questi due periodi, a onor del vero da sempre inseriti impropriamente in questo comma, riporterebbe le lancette del tempo indietro al 2015, anno di entrata in vigore del dlgs n. 81 (il cd “codice dei contratti”). Si abrogherebbe tanto la disposizione (quinto periodo), quanto la data di scadenza della stessa (sesto periodo): disposizione e data non presenti appunto nel testo originario. Il quinto periodo dispone che, nel caso di somministrazione a tempo determinato (TD) eseguita con lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato (TI), l’utilizzatore può impiegare per periodi superiori a 24 mesi lo stesso lavoratore senza che ciò determini, in capo all’utilizzatore stesso, la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il sesto periodo fissa l’efficacia di questa disposizione fino al 30 giugno 2025.

Con la soppressione di questi due periodi, tuttavia, si tornerebbe all’origine: il datore di lavoro/utilizzatore può assumere a termine e/o ricevere in somministrazione a TD lo stesso lavoratore per un periodo massimo di 24 mesi, pena la conversione/costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a suo carico, come prescritto dal comma 2 dell’art. 19 del dlgs n. 81/2015.

Ma se la somministrazione a TD è eseguita con lavoratori assunti dal somministratore a TI? L’utilizzatore ne deve comunque conto ai fini del computo dei 24 mesi? Letteralmente si potrebbe dire di sì, in quanto nessuna esclusione è prevista con riferimento alla tipologia di assunzione a termine o a tempo interminato da parte del somministratore (da qui l’esclusione oggi impropriamente operata, seppur solo sino al 30 giugno 2025, dai periodi quinto e sesto oggetto di probabile soppressione), rilevando solo la tipologia di somministrazione a TD.

Ma, mi chiedo, ha senso logico una simile lettura derivante da una mera interpretazione letterale? Oppure, trattandosi di norma esplicitamente prevista per il contratto a termine, nel computo dei 24 mesi dovranno essere considerati i soli periodi di somministrazione a TD con assunzione da parte del somministratore a termine? Anche perché, con l’assunzione a tempo indeterminato da parte del somministratore, la stabilità lavorativa che la norma vuole perseguire è già indiscutibilmente raggiunta.

2) al comma 2, terzo periodo, dopo le parole: «la somministrazione a tempo determinato di lavoratori» sono inserite le seguenti: «ai sensi dell’articolo 23, comma 2, nonché di lavoratori» e dopo le parole: «di cui all’articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223,» sono inserite le seguenti: «di soggetti assunti dal somministratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato,»;

Il tema qui non è più la durata, ma sono i limiti quantitativi della somministrazione a TD. Due la novità. La prima, su cui non mi soffermo, è semplicemente l’aver trasposto le esenzioni dai limiti quantitativi del contratto a termine anche alla somministrazione a TD. Quindi, solo per fare un esempio, una start-up innovativa per i primi 4 anni potrebbe (ricordo che il provvedimento non è ancora approvato in via definitiva e quindi il condizionale, come si suol dire, è d’obbligo) non solo assumere a termine ma anche ricorrere alla somministrazione a TD senza il rispetto di alcun limite quantitativo.

La seconda novità, invece, è certamente molto più rilevante e di impatto. Si prevede, infatti, che, in caso di assunzione a TI da parte del somministratore non opererebbe alcun limite quantitativo all’utilizzo della somministrazione a TD, fissato attualmente dalle norme nel limite del 30% (salva diversa disposizione dei contratti collettivi) in cumulo col contratto a termine. Una azienda, quindi, potrebbe decidere di “staffarsi” completamente mediante ricorso a lavoratori somministrati a tempo determinato, qualora il somministratore proceda con assunzione degli stessi con contratto di lavoro a tempo indeterminato? È la tipologia di assunzione da parte del somministratore (a TI) che guida, non più la somministrazione (a TD). Se c’è stabilità lavorativa, cade il limite quantitativo. E, come scritto sopra, cadrebbe anche il limite di durata dei 24 mesi? Se la norma sarà confermata, come pare probabile, molte saranno le riflessioni che dovranno fare le aziende e le agenzie per il lavoro.

Un punto però mi piace evidenziarlo fin da subito. Questa norma potrebbe essere un importante volano e un grande facilitatore per le ricollocazioni di lavoratori assunti a TI dal somministratore che si trovano in disponibilità (cioè ancora assunti, e con una specifica indennità, ma in attesa di una nuova collocazione) al termine di una assegnazione. L’importante vincolo del limite quantitativo della somministrazione a TD di un nuovo utilizzatore verrebbe meno, rendendo più semplice la ricollocazione favorendo così occasioni di lavoro. E questo non può che essere salutato con favore.

b) all’articolo 34, comma 2, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Le condizioni di cui all’articolo 19, comma 1, non operano in caso di impiego […] di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati […]».

Per provare a spiegare questa nuova possibile disposizione, occorre fare una doverosa premessa. Cosa sono le condizioni di cui all’art. 19 comma 1?

Cosa sono è abbastanza semplice da dire, anche se è molto difficile da spiegare. Si tratta delle cosiddette, famose e famigerate, causali che consentono di proseguire con un contratto di lavoro a termine oltre 12 mesi. Vale la pena solo ricordare che, a seguito delle novità introdotte lo scorso luglio dalla legge di conversione del decreto lavoro, i 12 mesi iniziali senza causale si possono raggiungere con un unico contratto (prorogato o meno) oppure con diversi contratti (prorogati o meno) cioè con i rinnovi. Per quanto attiene allo spiegare, lascio magari ad un altro scritto data la complessità del tema (dato che, chi mi legge su altri lidi lo sa, costituiscono per me un autonomo genere letterario).

La possibile nuova norma in commento andrebbe a eliminare l’obbligo di apposizione della causale nel caso in cui il somministratore impieghi lavoratori svantaggiati. Quindi la somministrazione a TD con lavoratori svantaggiati avrebbe ora una duplice semplificazione i) quella “storica” che conosciamo da molti anni, e cioè l’esenzione dai limiti quantitativi (che non viene modificata) e ii) questa nuova, di una acausalità per 24 mesi (che ricordo resta comunque la durata massima). Obiettivo di queste norme, va da sé, è favorire con l’eliminazione di lacci e lacciuoli l’inserimento lavorativo di lavoratori che, data la loro situazione di svantaggio, hanno maggiori difficoltà nel reperire una occupazione.

Da ultimo, nella speranza che la mia illustrazione possa aiutare l’interprete in una ricostruzione ragionata e non gridata (cfr. alcuni articoli sulla stampa) delle nuove possibili disposizioni di legge (ddl o collegato lavoro poco importa), ricordo le principali categorie di lavoratori svantaggiati, così come definiti da un regolamento europeo. Perché la platea è davvero ampia ed è legata all’età, al titolo di studio, al genere. Eccole:

1.       chi non ha un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;

2.       i giovani, con un'età compresa tra i 15 e i 24 anni;

3.       (permettetemi) i meno giovani, cioè chi ha superato i 50 anni di età;

4.       chi non ha un diploma di scuola media superiore o professionale (livello ISCED 3)

5.       gli adulti che vivono soli con una o più persone a carico;

6.       chi è occupato in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici (naturalmente se il lavoratore, spesso lavoratrice, interessato/a appartiene al genere sottorappresentato).

 

Andrea Morzenti Director Employment Law & Litigation Adecco Italia