I titolari del trattamento devono sempre consentire l’esercizio dei diritti previsti dalla normativa privacy. Il Garante ha sanzionato Autostrade per l’Italia e Amazon , rispettivamente per 100 mila e per 40 mila euro, per non aver dato tempestivo e motivato riscontro, neppure di diniego o di differimento, alle richieste di accesso ai propri dati personali presentate da alcuni dipendenti ed ex dipendenti.
Il primo provvedimento trae origine dai reclami di 50 dipendenti che si erano rivolti ad Autostrade chiedendo di aver accesso ai propri fascicoli personali, alle buste paga e a una serie di informazioni relative al trattamento dei dati per il calcolo delle buste paga stesse senza ottenere alcuna risposta.
Alla richiesta di spiegazioni del Garante, la società aveva risposto di non aver dato riscontro alle istanze per non compromettere il proprio diritto di difesa in giudizio. Tra la società e i lavoratori, infatti, erano in corso diversi procedimenti giudiziari riguardanti l’accantonamento e le modalità di calcolo della liquidazione.
La società, inoltre, affermava che i dipendenti avrebbero potuto conoscere i propri dati retributivi accedendo in autonomia alla piattaforma informatica dedicata.
L’Autorità ha ritenuto, invece, che Autostrade avrebbe dovuto comunque rispondere alle istanze dei dipendenti, precisando il motivo del diniego nonché la possibilità di presentare reclamo al Garante o ricorso all’autorità giudiziaria. La società, inoltre, avrebbe dovuto fornire riscontro anche riguardo ai dati già nella disponibilità dei lavoratori, indicando loro la piattaforma informatica attraverso cui accedere alle informazioni richieste.
Il Garante, pertanto, ha ingiunto ad Autostrade di fornire completo riscontro alle istanze dei reclamanti e per le violazioni riscontrate ha comminato alla società una sanzione di 100mila euro.
Nel caso di Amazon, l’Autorità è intervenuta a seguito del reclamo di un ex dipendente che aveva lamentato il mancato riscontro della società alla richiesta volta ad ottenere copia dei documenti riferiti al proprio rapporto di lavoro.
Alla richiesta di informazioni del Garante, la società aveva risposto di non aver dato riscontro all’istanza perché redatta in maniera molto ampia e generica. Aveva in seguito inviato copia dei documenti richiesti all’ex dipendente, ma solo dopo l’avvio dell’istruttoria del Garante, e comunque quasi sei mesi dopo il termine dei trenta giorni previsto dal Regolamento europeo in materia di privacy. L’Autorità, ricordando ad Amazon che avrebbe dovuto comunque rispondere tempestivamente all’istanza dell’ex dipendente, eventualmente chiedendo di dettagliare i dati ai quali voleva accedere, ha irrogato alla società una sanzione di 40mila euro.
Fonte: Garante Privacy