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Le norme a contrasto delle delocalizzazioni dopo il Decreto Asset.


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Con l’espressione delocalizzazione, si fa riferimento, di solito, al trasferimento del processo produttivo, o di alcune fasi di esso, in aree geografiche o Paesi in cui esistono vantaggi competitivi, consistenti generalmente nel minore costo dei fattori produttivi e, in particolare, della manodopera. 

Negli ultimi anni sono diversi gli interventi legislativi in materia, vuoi anche per l’intensificarsi del fenomeno in funzione del graduale aumento dei costi di produzione. 

Il primo di questi interventi è risalente al Decreto Dignità ( DL n. 87/2018 e L. n. 96/2018 ), successivamente è stata la Legge di Bilancio 2022 ( art. 1, commi da 224 a 236 della L. 234/2021 ) a introdurre una specifica procedura volta a contrastare il fenomeno, in parte modificata dal Decreto Aiuti-ter (art. 37 del DL 144/2022 e L. 175/2022 ). Da ultimo, la Legge di conversione del DL Asset (art. 8 del DL n. 104/2023 e L. 136/2023 ) ha circoscritto l’ambito di applicazione delle disposizioni del Decreto Dignità. 

Vediamo nel dettaglio quali sono le regole che i datori di lavoro devono rispettare per evitare sanzioni. 

DL ASSET : 

Come già detto l’ultimo intervento in odine di tempo è quello disposto con la Legge di conversione del DL n. 104/2023

Il Decreto all’articolo 8 ha esteso da 5 a 10 anni la durata del periodo, successivo alla data di conclusione dell’agevolazione pubblica, entro il quale una grande impresa è costretta a mantenere il proprio sito produttivo in Italia, pena la decadenza dei benefici ricevuti e l’irrogazione di una sanzione pari ad un importo da due a quattro volte l’importo dell’aiuto fruito.

In sostanza, con la modifica apportata all’art. 5 del DL 87/2018, viene previsto un regime differenziato fra le “ grandi imprese “ in possesso dei requisiti previsti dalla raccomandazione n. 2003/361/CE ( organici superiori alle 251 unità e fatturato annuo superiore ai 50 milioni di euro o con bilancio annuo superiore ai 43 milioni di euro ) e le imprese sotto soglia per le quali la durata del periodo resta di cinque anni dalla data di conclusione dell’ iniziativa agevolata. 

LEGGE DI BILANCIO 2022 : 

Nonostante se ne sia parlato come di una nuova normativa sulle delocalizzazioni, quella introdotta nel 2022 dalla Legge di Bilancio, in parte modificata dal DL Aiuti-ter ,  è a ben vedere un insieme di disposizioni riguardanti la chiusura di parti di aziende, per questo complementare al rafforzamento del contrasto alla delocalizzazione, ma non necessariamente legata al trasferimento di segmenti di processo produttivo in Stati non appartenenti all’ Unione Europea , eccezion fatta per gli Stati dello Spazio Economico Europeo. 

Aziende interessate :

Le regole sono riferite alle aziende che abbiano occupato nell’anno precedente una media di almeno 250 dipendenti inclusi i dirigenti e gli apprendisti e che intendono chiudere una sede, un’unità produttiva , un ufficio o un reparto, con il licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50.

Sono escluse le imprese, commerciali e agricole, che si trovano in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza e, quindi, in condizione di accedere alla composizione negoziata per la soluzione della crisi di cui al DL 118/2021. 

Obbligo di informazione :  

Una volta programmata la chiusura con la prospettiva dei licenziamenti, l’ azienda è tenuta a procedere con un’informativa 180 giorni prima dell’apertura della procedura di mobilità prevista dall’art. 4 della L. n. 223/1991. Destinatari le RSA e le RSU, nonché alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, il Ministero del Lavoro, il Ministero dello Sviluppo Economico, l’ ANPAL e le Regioni interessate180 giorni prima dell’apertura della procedura di mobilità prevista dall’art. 4 della L. n. 223/1991. 

L’informativa, che può essere effettuata anche per il tramite dell’associazione a cui il datore di lavoro aderisce o conferisce mandato, indica le ragioni economiche, finanziarie, tecniche o organizzative della chiusura, il numero e i profili professionali del personale occupato e il termine entro cui è prevista la chiusura. 

La mancata effettuazione dell’informativa è pesantemente sanzionata: in tal caso, infatti, i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e i licenziamenti collettivi sono considerati nulli, come sarebbero nulli anche i licenziamenti prima dello scadere del predetto termine di novanta giorni. 

Il piano per limitare le ricadute occupazionali : 

Entro 60 giorni dall’informativa, il datore di lavoro elabora un piano per limitare le ricadute occupazionali ed economiche derivanti dalla chiusura e lo presenta agli stessi destinatari della misura. Il piano non può avere una durata superiore a dodici mesi e indica: 

  1. le azioni programmate per la salvaguardia dei livelli occupazionali e gli interventi per la gestione non traumatica dei possibili esuberi, quali il ricorso ad ammortizzatori sociali, la ricollocazione presso altro datore di lavoro e le misure di incentivo all'esodo;
  2. le azioni finalizzate alla rioccupazione o all'autoimpiego, quali formazione e riqualificazione professionale anche ricorrendo ai fondi interprofessionali;
  3. le prospettive di cessione dell'azienda o di rami d'azienda con finalità di continuazione dell'attività, anche mediante cessione dell'azienda, o di suoi rami, ai lavoratori o a cooperative da essi costituite;
  4. gli eventuali progetti di riconversione del sito produttivo, anche per finalità socio-culturali a favore del territorio interessato;
  5. i tempi e le modalità di attuazione delle azioni previste.

Entro 120 giorni dalla presentazione, il piano è discusso con le rappresentanze sindacali, delle Regioni e dei Ministeri interessati. In caso di accordo sindacale, si procede alla sottoscrizione del piano, a seguito del quale il datore di lavoro assume l’impegno di realizzare le azioni in esso contenute nei tempi e con le modalità programmate, fornendo un aggiornamento con cadenza mensile sullo stato di attuazione. La mancata consultazione integra una condotta antisindacale con tutte le conseguenze correlate. 

In caso di accordo sindacale, qualora il datore di lavoro avvii, al termine del piano, la procedura di licenziamento collettivo, non è dovuto il contributo che normalmente trova applicazione in caso di licenziamento senza che sia stato raggiunto in proposito un accordo (art. 2, comma 35, l. n. 92/2012). Il raggiungimento dell’ accordo consente anche il ricorso ad un ulteriore intervento di integrazione salariale straordinaria finalizzato al recupero occupazionale dei lavoratori, per un massimo di dodici mesi complessivi non ulteriormente prorogabili, secondo lo schema degli accordi di transizione occupazionale, con azioni finalizzate alla rioccupazione , riqualificazione e formazione, anche attraverso il ricorso ai fondi interprofessionali. 

Qualora il piano non venga presentato, o in assenza degli elementi richiesti, il datore di lavoro deve pagare il doppio del contributo connesso al licenziamento collettivo ( cd. Contributo NASPI - art. 2, comma 35, L. n. 92/2012 ) e, inoltre, è tenuto a dare evidenza della mancata presentazione del piano nella dichiarazione individuale di carattere non finanziario di cui al D.Lgs. n. 254/2016 . L’ organo deputato alla verifica formale della sussistenza nel piano degli elementi richiesti è la struttura per la crisi d’impresa operante presso il Ministero dello Sviluppo Economico. Stessa sorte spetta al datore di lavoro inadempiente rispetto agli impegni assunti, ai tempi e alle modalità di attuazione del piano, di cui sia esclusivamente responsabile. 

In caso di mancata sottoscrizione del piano da parte delle organizzazioni sindacali, ipotesi non sotto il controllo dell’azienda, il datore di lavoro e' tenuto a pagare il contributo cd. NASPI ,di cui all'articolo 2, comma 35, della legge 28 giugno 2012, n. 92, aumentato del 500 per cento. 

La posizione del datore di lavoro che all’esito della procedura cessi definitivamente l’attività produttiva, o una parte significativa della stessa, con contestuale riduzione di personale superiore al 40 per cento di quello impiegato mediamente nell’ultimo anno, a livello nazionale o locale, è stata ulteriormente aggravata dal Decreto Aiuti-ter.  

Quest’ultimo ha previsto  la restituzione delle sovvenzioni, dei contributi, sussidi ed ausili finanziari o vantaggi economici a carico della finanza pubblica di cui hanno beneficiato gli stabilimenti produttivi oggetto delle cessazioni o ridimensionamenti di attività.

La restituzione riguarda gli aiuti rientranti fra quelli oggetto di iscrizione obbligatoria nel registro aiuti di stato, percepiti nei dieci anni antecedenti l’avvio della procedura medesima, in proporzione alla percentuale di riduzione del personale. Fino alla completa restituzione, il debitore non potrà più essere destinatario di ulteriori sovvenzioni , contributi, sussidi ed ausili. Prevista inoltre la riscossione coattiva delle somme dovute mediante ruolo ai sensi del D.Lgs. N. 46/1999.