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Smart working , emergenza sanitaria e contrattazione aziendale


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Tutte le rilevazioni convergono nel ritenere che lo smart working non è più un fenomeno di nicchia, ma che, specie dopo la accelerazione dovuta al COVID, si sta affermando come forma normale di lavoro, destinato a durare anche dopo la fine della emergenza sanitaria.

Occorre quindi porsi il problema di come valorizzarne gli aspetti positivi e di quali regole stabilire per evitarne i rischi.

Proprio perché il fenomeno è nuovo e in evoluzione, è consigliabile evitare interventi legislativi affrettati che potrebbero ostacolare uno sviluppo positivo di questa forma di lavoro. Vanno, invece, raccolte e valorizzate le pratiche migliori per trarne suggerimenti per il futuro. Anche le esperienze comparate di diversi Paesi, dove pure il lavoro agile si è rapidamente sviluppato, stanno adottando forme soft di regolazione quali linee guida, indirizzi di condotta e accordi collettivi. 

 

1. L’intervento dei contratti collettivi e i principali aspetti trattati

Una prima raccolta di contratti collettivi, nazionali e soprattutto aziendali, curata con lo studio Fieldfisher, offre numerose indicazioni utili. Molti di questi accordi sono stati conclusi nel corso della emergenza COVID e si occupano prevalentemente della gestione della sicurezza dei dipendenti; alcuni, tuttavia, contengono regole destinate a disciplinare più in generale lo smart working.

Alcuni contratti nazionali - in particolare Alimentaristi e Telecomunicazioni - offrono indirizzi generali e linee guida per l’uso dello smart working, peraltro con un rinvio alla contrattazione aziendale per specificazioni e integrazioni applicative.

In generale, sono i contratti aziendali la fonte più comune di regolazione di questa nuova forma di lavoro, che, per la sua variabilità e per la necessità di un uso flessibile, richiede di essere adattata alle specifiche modalità produttive e di contesto dei diversi luoghi di lavoro.

Gli accordi esaminati sottolineano il carattere sperimentale delle regole stabilite, non solo quando la loro durata è limitata al persistere dalla emergenza, ma anche quando il ricorso allo smart working è proiettato anche oltre la fine dell’emergenza.

Alcuni accordi precisano che, dopo le deroghe previste nell’emergenza, dovrebbe riprendere vigore la norma delle legge n. 81/2017, che richiede il contratto individuale per il ricorso e per la regolazione allo smart working.

A sottolineare il carattere sperimentale delle scelte in materia, si prevede, inoltre, la necessità di verifiche periodiche fra le parti, per valutare i pro e i contra dell’esperimento: cioè per analizzare se e quanto si siano concretati gli aspetti positivi del lavoro a distanza, spesso menzionati negli accordi (miglioramenti del clima aziendale, della fiducia e della responsabilità nei rapporti di lavoro, riduzione dell’ assenteismo e dei costi di trasporto, migliore conciliazione fra lavoro e vita personale ecc.) e per vedere quali siano stati gli impatti negativi, ad esempio sullo stress dei dipendenti, sul lavoro delle donne, sulle retribuzioni, ecc.

Si può dire che nelle valutazioni espresse prevalgono i giudizi positivi per la produttività aziendale e anche per il benessere aziendale, anche quando si rilevano le difficoltà e i rischi del nuovo tipo di lavoro.

Per quanto riguarda i diritti e i doveri delle parti, si rinvia largamente a quelli propri del lavoro subordinato, a sottolineare che non si fuoriesce dallo schema fondamentale della subordinazione. Questo, del resto, è l’ambito specifico e tradizionale degli accordi collettivi, anche se va ricordato che il lavoro a distanza sta già coinvolgendo milioni di lavoratori variamente autonomi; il che è un ulteriore motivo per dare nuova attenzione anche per questo aspetto alla regolazione del lavoro non dipendente, finora trascurata o appena allo stato iniziale.

Il rinvio degli accordi alle regole generali del lavoro subordinato comprende anche i diritti sindacali che sono garantiti apprestando, se necessario, soluzioni organizzative atte a garantire il loro esercizio a distanza con strumenti informatici.

Oltre a questo aspetto anche in altri ambiti della regolazione, le varianti rispetto allo schema storico del lavoro dipendente non sono poche.

Anzitutto, sono frequenti le previsioni dirette ad adattare e rendere flessibili gli orari di lavoro, che è il tema più spesso trattato dagli accordi. In alcuni casi, si pianificano (su piattaforma) sia il rapporto fra le giornate di lavoro a distanza e quelle in presenza, sia gli orari giornalieri e settimanali di ricorso allo smart working.

E’ significativo che spesso si prevede non uno schema fisso di orari, bensì fasce orarie più o meno ampie, entro cui il lavoratore può organizzare il suo tempo. Il contratto nazionale delle TLC prevede che l’orario dei lavoro, probabilmente in relazione alla sua organizzazione flessibile, possa essere anche inferiore a quello stabilito in generale, con opportune compensazioni per garantire l’invarianza salariale.

Le eventuali programmazioni fisse della distribuzione degli orari fra lavoro a distanza e lavoro in presenza sono ritenute modificabili solo con preavviso. Si tratta di una precisazione opportuna, anche se non strettamente necessaria sul piano legale, se tale variazione non comporta modifiche sostanziali nelle condizioni di lavoro (mansioni, retribuzione, ecc.).

La quantità di giorni ammessi di smart working è talora fissata, spesso entro limiti massimi, ampliabili per categorie di lavoratori con particolari esigenze individuali o familiari (ad es. madri e famiglie con bambini piccoli). Altre volte tale quantità è lasciata variabile e comunque soggetta ad adattamenti periodici sulla base della esperienza.

 

2. Altri aspetti della disciplina contrattuale  

La gestione congiunta di attività lavorative in alcuni giorni/orari di lavoro a distanza in altri di lavoro da remoto per gruppi diversi di lavoratori pone problemi organizzativi complessi di cui le parti sono consapevoli.

A tal fine sono talora previsti modelli gestionali appositi, anche qui sperimentali, e si sottolinea la importanza del contesto complessivo aziendale (verso la Smart factory). In ogni caso, si richiama la necessità di responsabilità e di collaborazione reciproca per valorizzare le opportunità del lavoro agile e per ridurne le controindicazioni.

In questa stessa ottica viene affrontato il problema dei controlli, non tanto nelle forme di cui all’ art 4 dello statuto dei lavoratori, ma puntando soprattutto sulla promozione della cultura della responsabilità e del risultato.

Il contratto nazionale delle TLC, peraltro, prevede specifiche intese ex art. 4 per l’utilizzo a fini produttivi e organizzativi dei dati sul lavoro relativi a gruppi di lavoratori, per finalità di reportistica, di monitoraggio e di controllo dei livelli e della qualità del servizio. Nonostante la delicatezza di questi aspetti, la normativa in esame non risulta al momento aver provocato controversie.

Il diritto dei lavoratori alla disconnessione è sempre ribadito dagli accordi, ma si sottolinea che esso va gestito in modo responsabile e virtuoso da entrambe le parti; le azienda si impegnano a porre in essere le misure organizzative necessarie ad assicurare la effettiva osservanza della disconnessione. Per favorire la pratica efficace dello smart working, gli accordi aziendali prevedono spesso interventi formativi specifici, spesso on line e assistiti anche con forme personalizzate di coaching.

Fra le buone pratiche nell’uso dello smart working, si prevede che l’azienda favorisca lo scambio di informazioni e la interazione fra colleghi al fine di valorizzare la circolazione delle conoscenze fra tutti i partecipanti e da compensare, almeno in parte, i rischi di isolamento sociale.

Gli accordi sottolineano spesso che il lavoro a distanza, con la circolazione che esso premette di una grande quantità di informazioni attinenti alle vicende aziendali, richiede una attenzione particolare al rispetto della riservatezza da parte di tutti i dipendenti.

Il contratto nazionale delle TLC segnala la necessità di prestare particolare attenzione alle questioni di genere, ai rischi di violenza domestica e a garantire effettiva parità di condizioni nella gestione dei tempi di vita e di lavoro; sono questi temi rivelatisi critici per la vita familiare e specie per la condizione delle donne nella pratica del lavoro a distanza.

 

2.1. La sicurezza nel lavoro agile

Uno dei temi principali trattati dagli accordi è quello della sicurezza. Si tratta di un tema reso particolarmente delicato dal fatto che lo smart working implica lo svolgimento dell’attività in tutto o in parte al di fuori dei locali aziendali. Qui le indicazioni degli accordi sono diverse e aprono non pochi problemi.

Le indicazioni più precise (ad esempio, accordo Fastweb) specificano che i luoghi dove è consentito il ricorso allo smart working sono quelli che rispondono ai criteri di sicurezza esplicitamente indicati nei corsi di formazione all’uopo dedicati . E si aggiunge che il lavoratore si impegna a scegliere locali adeguati allo svolgimento di questa attività, a utilizzare gli strumenti in modo appropriato, così da non procurare pericoli a se e a terzi.

La maggior parte degli accordi viceversa adotta formulazioni alquanto generiche, richiedendo solo la presenza di locali idonei al tipo di attività o semplicemente “adeguati”. Tale genericità non aiuta a risolvere le questioni attinenti alla responsabilità del datore di lavoro nel caso di infortunio del lavoratore e del verificarsi di altri eventi dannosi.

Nel corso della emergenza COVID, il legislatore ha ritenuto di intervenire con l’art 29-bis della legge n.40/2020, stabilendo che la applicazione dei protocolli di sicurezza conclusi fra le parti sociali (in particolare quello del 24 aprile 2020 confermato da vari Dpcm) costituisce adempimento degli obblighi di sicurezza di cui all’art 2087 cod. civ. e (quindi) esclude la responsabilità civile conseguente a eventuali contagi dei dipendenti.

Per arrivare a questa stessa conclusione, occorrerebbe che le regole dei protocolli di prevenzione venissero applicate anche nei casi in cui il lavoro si svolge fuori dei locali aziendali, ma comunque in luoghi autorizzati dal datore (come è o dovrebbe essere in questi casi). Altrimenti, è difficile immaginare una esenzione rispetto all’art. 2087 come “norma aperta”, in quanto il lavoro del dipendente, ancorché svolto a distanza, continua a essere organizzato e svolto alle dipendenze del datore e nell’ interesse aziendale.

Di questo aspetto occorrerà che gli accordi collettivi e le direzioni aziendali si occupino specificamente, uscendo dalla genericità con provvedimenti che garantiscano la salute anche degli smart workers. Anche perché la questione continuerà a porsi oltre la fine della pandemia e non solo per la responsabilità da contagio, ma anche per i vari rischi e bisogni derivanti dal diffondersi di questo tipo di lavoro e più ingenerale dell’applicazione su vasta scala delle tecnologie digitali in tutte l’attività produttive e dei servizi.

Non a caso, si è già rilevato come la normativa del testo unico n.81/2008 sulla sicurezza del lavoro, che è la regolazione più comprensiva in argomento e quindi deve applicarsi anche allo smart work, manifesta evidenti carenze e sfasature rispetto ai caratteri della economia e del lavoro digitale. Questo è un aspetto specifico della nuova realtà su cui il legislatore dovrà intervenire rivedendo la intera normativa sulla sicurezza sul lavoro, anche a questo proposito facendo tesoro delle migliori pratiche sperimentate dalla contrattazione collettiva.

Tiziano Treu - Professore emerito di Diritto del lavoro dell’Università Cattolica