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Settore cinema - audiovisivo: Accordo sindacale sul contratto a termine dopo il decreto dignità


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Anica – Apt e CGIL, CISL e UIL hanno sottoscritto un accordo per il contratto a termine nel settore cinema e audiovisivo. L’intervento si è reso necessario dopo le recenti novità del Decreto Dignità e può dirsi interessante per un riscontro applicativo sulla nuova disciplina. Riuscirà la contrattazione collettiva ad adeguare la regolamentazione del contratto a termine alle peculiari esigenze di ciascun settore ?

1.La premessa dell’accordo sul contratto a termine nel settore cinema - audiovisivo

Un accordo di grande interesse, non solo perché viene segnalato come uno dei primi accordi nazionali successivo al cosiddetto decreto dignità, è stato sottoscritto da ANICA e APT e, da parte sindacale, dai sindacati di categoria di CGIL,CISL e UIL. Già l’intitolazione dell’accordo dà l’idea della rilevanza e anche dell’attualità dei temi trattati: “Protocollo Accordo per la regolamentazione del lavoro a tempo determinato e del lavoro autonomo nel settore del cinema e dell’audiovisivo”.

La premessa, che fa da cappello alla parte più regolativa dell’accordo, presenta vari spunti di particolare rilievo. Riecheggiando un passaggio della direttiva comunitaria sui contratti di lavoro a termine, “ le parti contraenti convengono che i contratti a tempo determinato rispondono in specifiche circostanze sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori”.

La condivisione di questo punto, significativa anche perché interviene in una fase caratterizzata in alcuni passaggi da eccessivi accenti critici verso l’istituto del contratto a termine, assume un particolare valore proprio perché non è affermata in astratto. Viene, infatti, legata alle tendenze presenti nel settore cinematografico e audiovisivo: come viene sottolineato nell’accordo, ”parte del settore …è storicamente caratterizzata da differenti periodicità lavorative, variabili in relazione a ciascuna produzione”.

Ciò conferma la capacità della contrattazione collettiva, da ultimo forse sottovalutata, di adeguare le regolamentazioni dei rapporti a termine alle peculiarità settoriali e all’insieme della esigenze rilevanti. Ancora in sede di premessa, emerge la consapevolezza delle parti di muoversi all’interno di un quadro legislativo speciale.

In particolare, non si può dimenticare -e l’accordo opportunamente lo ricorda - il d.lgs. n. 202/2017 che, in tema di contratti a termine, ha modificato l’art. 23, comma 2 lett. d) d.lgs. n. 81/2015, sottraendo al limite quantitativo massimo di contratti a termine” le assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi o per la produzione di specifiche opere audiovisive”.

Infine, la premessa dell’accordo appare interessante anche perché mette subito in luce la disponibilità delle parti a conciliare le diverse esigenze in campo: difatti, dopo aver sottolineato la particolare esigenza del settore di disporre di contratti a termine, la premessa fin dall’inizio si pronuncia sulle condizioni a cui legare ogni singolo contratto a termine, condizioni fra cui campeggia il requisito della temporaneità dall’esigenza aziendale.

 

2. La consapevolezza delle diverse tecniche di regolazione.

   Nella parte in cui più direttamente definisce le regole applicabili ai rapporti di lavoro a termine nel settore, l’accordo mostra consapevolezza della pluralità di tecniche di regolazione utilizzabili e della possibilità di avvalersene in maniera equilibrata e non contraddittoria.

La prima clausola interviene sul “ … numero massimo di contratti di contratti di lavoro a tempo determinato”. Evocando la norma speciale di cui all’art. 23 del d.lgs. n.81/2015, come modificata dal d.lgs n.22/2017, viene stabilito che “il numero dei lavoratori assunti a tempo determinato potrà essere superiore al 20 % dei lavoratori a tempo indeterminato, secondo quanto previsto dall’art. 23 del D.lgs. n. 81 del 2015 così come modificato dall’art. 1 D.lgs n. 202 del 2017”.

Nel prevederlo, peraltro, l’accordo dà sostanzialmente seguito alla previsione dello stesso art. 23 secondo la quale i contratti a termine i menzionati dallo stesso, fra in quali rientrano anche quelli di cui alla citata lett. d), “sono sottratti anche a ” eventuali limitazioni quantitative previste dai contratti collettivi”: dire che non si applica la limitazione quantitativa di legge del 20% senza porre un numero complessivo massimo di possibili contratti, significa, in effetti, esentare i contratti da qualsiasi limitazione del genere.

La predetta apertura, tuttavia, non è incondizionata: “sarà possibile qualora, per i suddetti lavoratori, ricorrano i requisiti della temporaneità e della singola specialità della prestazione lavorativa”. L’accordo, con l’evidente scopo di contenere l’incertezza, si impegna anche a precisare cosa debba intendersi per temporaneità e per specialità: “il requisito della temporaneità deve intendersi in relazione a prestazioni di durata limitata nell’arco della programmazione aziendale, e, quindi, destinata ad esaurirsi in un lasso di tempo definito e/o definibile”; “la prestazione deve essere legata alla specificità della singola opera cinematografica e audiovisiva che deve presentare una sua connotazione particolare”.

Della complessiva disciplina contrattuale è da apprezzare la consapevolezza mostrata dalle parti circa il fatto che quando si adotta il criterio della temporaneità, dall’accordo combinato con altri criteri, non c’è ragione per ricorrere a limiti di carattere quantitativo: se l’esigenza aziendale è temporanea, non si giustifica un limite di carattere quantitativo che, in ipotesi, impedisca la stipula di contratto a termine per soddisfarla.

Da questo punto di vista, tentando un confronto con la disciplina legislativa del contratto a termine conseguente al decreto dignità, si può osservare che l’ accordo, esercitando una facoltà riconosciuta dalla legge e lasciata intatta dal decreto dignità, ha un pregio che, invece, la sopravventa e ora vigente disciplina legislativa non ha: difatti, quest’ultima, mettendo insieme causali di giustificazione e limiti quantitativi, comporta la possibilità che pur in presenza di una esigenza temporanea un’impresa non possa stipulare legittimamente un contratto a termine.

 

3.Disciplina legislativa e contrattuale delle causali.

Continuando a guardare insieme all’accordo e alla disciplina legislativa, è interessante porre attenzione su ulteriori aspetti, con lo scopo di chiarire gli spazi di cui la contrattazione collettiva fruisce nel settore specifico come negli altri settori. L’accordo fornisce una definizione di causali che, secondo le parti, legittimano il ricorso al contratto a termine.

Avendo presente che l’art. 19, comma 1, del D.lgs. 81/2015, riformulato dal decreto dignità , procede direttamente a dare le definizioni delle causali e, altresì, che la legge (nemmeno con riferimento al settore del cinema e dell’audiovisivo) riconosce alla contrattazione collettiva la facoltà di modificare le nozioni legali di causale, deve giungersi alla seguente conclusione: in tutti i casi in cui il D.lgs. n.81/2015, come da ultimo modificato dal decreto, richiede la presenza di una causale (contratto a termine di durata superiore a 12 mesi; proroghe che portano oltre 12 mesi; rinnovi), per non avere problemi si deve poter ritenere che nel caso specifico la causale, conforme a quanto definito dall’accordo, sia anche conforme a quanto richiede il predetto art. 19, comma 1, quale fonte delle nozioni legali di causale. A fronte delle formulazioni di carattere generale proprie dell’art. 19, non solo c’è spazio per collocare le previsioni contrattuali all’interno delle nozioni legali, ma è anche ragionevole usare molta cautela, da parte di chi è chiamato ad applicare la legge, nell’impiegare tali nozioni per contraddire quanto previsto dalla contrattazione collettiva ed attuato coerentemente. Ciò ancor di più in un settore in cui, anche nel periodo di maggior contenimento legislativo dei contratti a termine, i singoli spettacoli e le singole opere sono state considerate presupposti sufficienti di apposizione del termine ai contratti di lavoro. Nei residui casi in cui si può ancora oggi stipulare il contratto a termine senza una specifica causale, è evidente che si pone un problema di rapporto fra disciplina di legge e disciplina contrattuale. Negli altri casi rimane in ultima istanza fermo che, laddove si riscontri un conflitto fra le due fonti, quella legale è destinata a prevalere su quella di natura contrattuale.

Prof. Avv. Angelo Pandolfo Fieldfisher