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Somministrazione a termine , limite dei 24 mesi e computo dei contratti pregressi. Nulla è scontato !


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Il quadro regolatorio sulla somministrazione a termine, formatosi dopo il decreto dignità, presenta diverse incertezze e problematicità. Queste possono essere evidenziate sin dal momento dell’instaurazione del rapporto di lavoro e perdurano anche in occasione di eventuali rinnovi. Nonostante i chiarimenti ministeriali diffusi con la circ. n. 17 del 31.10.2018 , la previsione del limite di 24 mesi prevista anche per una sequenza di rapporti in somministrazione pone la questione del computo dei contratti pregressi . Queste novità impongono alle Agenzie per il Lavoro di assumere un atteggiamento ponderato nell’utilizzo dei contratti a termine considerati necessariamente come una risorsa limitata da impiegare in modo oculato e con parsimonia.


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1.La circolare ministeriale e il computo dei contratti pregressi

Con lo scopo di chiarire la portata delle innovazioni che il cosiddetto decreto dignità ha apportato alla disciplina dei rapporti di lavoro a termine, la circ. n. 17 del 31.10.2018, come è stato già sottolineato (Decreto dignità: somministrazione e rapporti di lavoro a termine dopo la circolare ministeriale), tratta anche della successione di rapporti di lavoro a tempo determinato in somministrazione che vedono come parti dei relativi contratti la stessa Agenzia (APL) e lo stesso lavoratore.

I riferimenti normativi che la circolare richiama sono rappresentati dall’art. 34, comma 2, e dall’art. 19, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015, come modificati dal decreto dignità: in particolare, la prima disposizione amplia il novero delle disposizioni previste per il contratto a tempo determinato da applicare anche ai rapporti di lavoro APL/lavoratori; la seconda, riguardante i rapporti a termine diretti, regola la successione di contratti di lavoro a termine ed è una delle disposizioni oggetto di estensione.

La circolare sottolinea che alla somministrazione è da applicare il limite complessivo massimo - 24 mesi o altro diverso fissato dalla contrattazione collettiva - relativo alla sequenza di rapporti a termine da non superare, pena la trasformazione in rapporto a tempo indeterminato.

A tal proposito, secondo la circolare, ai fini del computo delle predetta sequenza si “… deve tenere conto di tutti i rapporti di lavoro a termine a scopo di somministrazione intercorsi fra le parti, ivi compresi quelli antecedenti alla entrata in vigore della riforma”.

E’ su questo specifico passaggio che si procede ad alcune riflessioni, sottolineando da subito che la conclusione fatta propria dalla circolare va collocata nel quadro normativo scaturente dal decreto, che indubbiamente è fonte di diversi meccanismi di limitazione del ricorso ai rapporti di lavoro a termine con scopo di somministrazione.

Si pensi al rinnovato art. 31, comma 2, che fissa un limite numerico alla presenza presso uno stesso utilizzatore di lavoratori somministrati in virtù di contratti di somministrazione a tempo determinato.

 

2. I contratti stipulati in vigenza di un quadro legislativo profondamente diverso

Dalle nuove regole deriva che da causali di incerta e problematica definizione dipende, in una serie di situazioni, la legittimità dei contratti di lavoro a termine.

Di riflesso, le APL come datrici di lavoro, al pari di tutti gli altri datori di lavoro, sono sollecitate a considerare i contratti a termine come una risorsa limitata, da consumare con ponderatezza.

Un particolare atteggiamento, dunque, nell’uso della specifica formula contrattuale ora opportuno, che non era richiesto quando vigeva il regime della a-causalità nell’accesso ai rapporti a tempo determinato e non operava un limite numerico di origine legislativa.

Considerando i due assetti normativi succedutisi, appare subito evidente la forzatura insita nel dare rilevanza, nella composizione del periodo complessivo di 24 mesi di successione di rapporti a termine, a contratti posti in essere nella fase precedente e come, di converso, ai fini del computo del predetto periodo sarebbe ragionevole far rilevare esclusivamente i contratti posti essere a partire dal momento in cui, con l’entrata in vigore della nuova disciplina legislativa, si è potuto avere consapevolezza del fatto che, impiegandoli, si consuma una risorsa non illimitata.

Si dirà: neanche prima la risorsa era illimitata, in quanto incidevano limiti di origine contrattuale.

Sennonché, si tratta di cogliere i riflessi che derivano dall’evoluzione della normativa legislativa e le coerenze da salvaguardare nel darle applicazione, aspetti sui quali non incide quanto all’esterno delle dinamiche legislative hanno tempo per tempo previsto i contratti collettivi.

 

2.1. Particolari argomenti a favore di una tesi diversa rispetto a quella della circolare

Sul terreno della previgente regolazione legislativa, un contratto di lavoro a tempo determinato con scopo di somministrazione non aveva la capacità di pregiudicare la legittimità della stipula di un ulteriore contratto a termine fra le stesse parti (APL e lavoratore da somministrare) nei termini previsti dalla nuova legislazione in materia.

Attribuire la capacità di pregiudicare contratti successivi a contratti stipulati quando non vigeva la regola introdotta dal decreto comporta, pertanto, una notevole forzatura rispetto alla consapevolezza che poteva aversi quando sono stati perfezionati contratti privi, per chiara scelta legislativa, di una valenza “ostativa” di altri successivi contratti.

E’ riconosciuto che le leggi (non penali) possono fare eccezione al principio secondo cui il provvedimento nuovo non produce effetti di ri-regolazione di fattispecie perfezionatesi in precedenza, ma sempre che ciò sia stabilito espressamente.

Nel nostro caso mancano pronunciamenti espressi che prevedano un riflesso della nuova disciplina su contratti stipulati quando la stessa era ancora di là da venire e tutti, conformemente alla legge allora vigente, si muovevano all’interno di una quadro normativo molto diverso.

Inoltre, preesistono precedenti che fanno vedere come la modifiche delle regole, finalizzate ad attribuire ai contratti a termini una valenza di cui erano privi al tempo della stipula, sono state espressamente previste.

Come si diceva, per effetto dell’art. 34, comma 2, ai contratti a termine con scopo di somministrazione è applicabile l’art. 19, comma 2, che, come ugualmente si è già sottolineato, fissa a 24 mesi - o al diverso termine previsto dal contratto collettivo - il limite della sommatoria di detti contratti.

Per questo, non è fuori luogo ricordare la genesi dell’art. 19, comma 2, del d.lgs. 81/2015, dedicato ai contratti a termini diretti e ora esteso anche ai contratti di somministrazione a termine.

L’art. 19, comma 2, ha preso il posto dell’art. 5, comma 4-bis, a suo tempo introdotto nel d.lgs. n. 368/2001 dalla l. n. 247/2007.

Il comma 4-bis è stato abrogato una volta che la disciplina dei diversi contratti di lavoro, ivi compresi il contratto a termine e la somministrazione di lavoro, è stata concentrata nel successivo d.lgs. n. 81/2015.

Resta il fatto tale disposizione per prima ha regolato la successione di contratti a termine (allora con il limite di 36 mesi e non di 24), costituendo un precedente interessante per la più adeguata interpretazione dell’ultima normativa.

Il comma 4-bis, infatti, è stato accompagnato da una espressa previsione di diritto transitorio, secondo la quale i periodi di lavoro a termine espletati prima dell’entrata in vigore dello stesso comma 4-bis erano da computare nel periodo complessivo massimo di rapporti a termine (allora, come si è già ricordato, di 36 mesi).

Si può, quindi, avanzare la seguente considerazione: quando all’interno di una normativa (peraltro ora abrogata) si è voluto prevedere la rilevanza di contratti stipulati antecedentemente all’introduzione del limite complessivo, lo si è stabilito espressamente; ora che si stabilisce un limite complessivo anche per i rapporti termine con scopo di somministrazione, nulla si dice a proposito della rilevanza dei contratti pregressi.

Ne esce rafforzata la considerazione che la legge ultima, per quanto prevede ma anche per quanto non prevede espressamente, esclude ai fini del limite complessivo la computabilità dei periodi pregressi.

Prof. Avv. Angelo Pandolfo - Fieldfisher