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Decreto Dignità: Somministrazione e rapporti di lavoro a termine dopo la circolare ministeriale


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Il d. l. n. 87 del 12 luglio 2018 ( cd. Decreto Dignità ) ha modificato notevolmente la disciplina del contratto a termine e della somministrazione di lavoro, in particolare di quella che l’Agenzia per il lavoro (APL) attua assumendo a tempo determinato i lavoratori da somministrare.

Molto si è detto sulla disciplina delle causali giustificatrici dell’apposizione del termine e tant’altro si potrà aggiungere in futuri approfondimenti. In questa occasione vengono sviluppate alcune riflessioni sulle relazioni fra contratti a termine e somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonchè sul " periodo massimo di occupazione alla luce dei chiarimenti forniti con la circ. n. 17 del 31.10.2018 del Ministero del Lavoro. Quali effetti avrà la sovrapposizione della disciplina del contratto a termine con il quella della somministrazione nel calcolo del limite massimo dei 24 mesi?

1.La nuova disciplina e le situazioni in cui continua ad operare la a-causalità

Il d. l. n. 87 del 12 luglio 2018 (cd. decreto dignità , d’ora in poi indicato come il decreto), convertito in legge dalla l. n.96/2018, ha modificato notevolmente la disciplina del contratto a tempo determinato e della somministrazione di lavoro, in particolare di quella che l’Agenzia per il lavoro (APL) attua assumendo a tempo determinato i lavoratori da somministrare.

Ora, nell’analizzare ed interpretare le innovazioni intervenute, si deve avere ben presente anche la circ. n. 17 del 31.10.2018, diramata dal Ministero del lavoro con il dichiarato “… obiettivo di favorire l’uniforme applicazione della nuova disciplina …”.

A fronte di previgenti normative che privilegiavano il principio della a-causalità, sia nella disciplina del contratto a termine che della somministrazione, il decreto procede in direzione diversa (se non opposta), introducendo regole che esigono la presenza di particolari “condizioni” (causali) ai fini della legittima apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato.

A tal fine, il decreto interviene sul d.lgs. n. 81/2015, che già recava - e continua a recare - le discipline del contratto di lavoro a termine (artt. 19/29) e della somministrazione di lavoro (artt. 30/40), modificando ambedue gli insiemi normativi.

L’art. 34, co. 2, del d.lgs. n.81/2015, modificato dal decreto, opera come norma di collegamento fra la riformata disciplina del contratto a termine e la disciplina da applicare al rapporto di lavoro a termine intercorrente fra la APL e il lavoratore somministrato, ponendosi come la norma chiave ai fini della individuazione della disciplina di tale rapporto.

Il decreto ha inciso, fra gli altri, sui seguenti passaggi normativi : innanzitutto, ha modificato l’art. 19 del d.lgs. 81/2015, relativo al contratto a tempo determinato (e non al rapporto di lavoro somministrato), e ha recuperato il principio della causalità quale presupposto di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato con riferimento ad una serie di situazioni; in secondo luogo, ha modificato l’art. 21, relativo alla proroghe e ai rinnovi dei contratti a termine diretti, sempre in direzione della causalità; infine, ha modificato l’art. 34, comma 2, che riguarda direttamente i rapporti di lavoro a tempo determinato APL/lavoratori somministrati, in una maniera che in termini generali determina l’assoggettamento (anche) di tali rapporti all’applicazione degli artt. 19 e 21.

In estrema sintesi, da tale combinazione di norme derivano conseguenze come:

a)il contratto di lavoro di durata non superiore a 12 mesi, comprese eventuali proroghe, non richiede l’indicazione di una causale, sempre che si tratti del primo rapporto di lavoro a termine che intercorre fra quella APL e quel lavoratore;

b)ove il contratto superi, anche in virtù di una proroga, i 12 mesi, è richiesta una causale che giustifichi l’apposizione del termine al contratto di lavoro stipulato dalla APL;

c)qualora fra la stessa APL e lo stesso lavoratore è già intercorso un contratto di lavoro a termine, di qualsiasi durata, l’ulteriore contratto a termine (il “rinnovo”), quand’anche non porti a superare i 12 mesi, richiede una causale di giustificazione.

La circolare, a tal riguardo, sottolinea che “… non sono cumulabili … i periodi svolti presso diversi utilizzatori”: dunque, stessa agenzia, stesso lavoratore, che prima è somministrato ad un’azienda e poi ad un’altra presso la quale il periodo di a-causalità parte daccapo.

Visualizzando la somministrazione dello stesso lavoratore a più aziende utilizzatrici da parte di una stessa APL, la circolare, inoltre, sottolinea che comunque è da rispettare il limite massimo di durata del rapporto di lavoro pari a 24 mesi o ad un altro termine fissato dalla contrattazione collettiva (su tale limite si ritorna nel paragrafo successivo).

1.1.Quando è richiesta la causale e le relazioni fra rapporti di lavoro a termine diretti e rapporti di lavoro a termine con scopo di somministrazione

Da parte della circolare sono anche evidenziate le situazioni in cui è richiesta la sussistenza di una delle causali di cui al d.lgs. n. 81/2015 (art. 19, co. 1), come revisionato dal decreto: somministrazione realizzata attraverso un rapporto di lavoro a termine superiore a 12 mesi presso lo stesso utilizzatore o rinnovo della missione presso lo stesso utilizzatore.

Si collocano in un’area problematica altre considerazioni della circolare, accomunate dal mettere in luce ulteriori situazioni in cui la stessa reputa necessaria l’indicazione di una causale.

Secondo la circolare, al superamento dei dodici mesi, che comporta la necessità della causale, concorrono non solo i periodi di missione di lavoratori a termine ma anche i rapporti a termine diretti riguardanti un’azienda che, nei confronti dello stesso lavoratore, in tempi diversi è utilizzatrice e datrice di lavoro diretta.

Conclusione, questa, che dalle esemplificazioni effettuate dalla circolare è accreditata sia per i casi in cui c’è prima un rapporto di lavoro a termine diretto e poi la somministrazione sia per i casi in cui è la missione in somministrazione a termine che precede il rapporto a termine diretto.

Il fondamento legislativo di tale conclusione non è chiarito in maniera evidente dalla circolare.

In apertura del paragrafo della circolare che la propone, viene citato l’art. 2, comma 1-ter del decreto, sottolineando che a stregua di questa disposizione “ … le condizioni introdotte dall’articolo 1, comma 1, lettere a) e b) del decreto-legge n.87 si applicano esclusivamente con riferimento all’utilizzatore”.

Sennonché, l’art. 2, comma 1-ter, conferma che, quando è richiesta la causale, si deve far riferimento alla situazione dell’utilizzatore e non a quella del somministratore, ma lo stesso art. 2, co. 1-ter, non va oltre.

E’ l’art. 19, comma 1, come ridefinito dall’art. 1, co.1, del decreto, a prevedere quando è necessaria una causale e l’art. 19 si limita a prevedere che, quando si superano 12 mesi di durata del contratto a termine, è necessaria una causale di cui alle lett. a) o b) dello stesso articolo (senza poter superare 24 mesi).

Di sicuro, l’art. 19 non prevede nulla in merito ad ipotesi di cumulo, a suoi fini, di periodi di rapporti a termine diretti e in somministrazione.

Fra le disposizioni che possono invocarsi per tentare di chiarire la questione, rientra senz’altro l’art. 34, co.2, del decreto, alla cui importante funzione si è già fatto cenno.

Tuttavia, nemmeno l’art. 34, comma 2, che pure espone i rapporti di lavoro a termine intrattenuti da APL alle regole dettate in prima battuta per i contratti a termini diretti, può far dire all’art. 19 cose che lo stesso non dice.

2. Il “Periodo massimo di occupazione” secondo la circolare

Sotto il titolo “Periodo massimo di occupazione”, la circolare considera gli effetti derivanti dal rinnovato art. 34, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 che, come si è già osservato, espone anche i rapporti di lavoro a termine APL/ lavoratori somministrati alla disciplina prevista dall’art. 19 per i contratti a termine diretti.

Da detta premessa normativa, la circolare trae la conclusione che il limite complessivo di 24 mesi, previsto dall’art. 19, comma 2, con riferimento all’ipotesi di successione di contratti a termine, “… deve essere valutato con riferimento non solo al rapporto di lavoro che il lavoratore ha avuto con il somministratore, ma anche ai rapporti con il singolo utilizzatore, dovendosi a tal fine considerare sia i periodi svolti con contratto a termine, sia quelli in cui sia stato impiegato in missione con contratto di somministrazione a termine, per lo svolgimento di mansioni dello stesso livello e categoria legale”.

L’affermata operatività del limite temporale di 24 mesi, sia per i contratti a tempo determinato che per i contratti di somministrazione a tempo determinato, induce la circolare a ritenere che, esaurito il limite, “… il datore lavoro non potrà più ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato con lo stesso lavoratore per svolgere mansioni di pari livello e della medesima categoria legale”.

Questa presa di posizione fa subito pensare ad un risalente e diverso orientamento del Ministero, orientamento secondo il quale, una volta esaurito il periodo massimo di impiego di lavoratori con rapporti di lavoro a termine diretti (periodo che allora era di 36 mesi), comunque residuava - intatta - la facoltà di ricorrere alla somministrazione a tempo determinato: Circolare n. 18/2012; Interpello n. 32/2012.

La considerazione di questi precedenti, di per sé, non mette in crisi il recente orientamento.

Il decreto legislativo del 2001 è da tempo abrogato; l’art. 34, co. 2, del d.lgs. n. 81/2015, che nella versione originaria teneva espressamente lontani dall’art. 19, co. 2, i rapporti di lavoro APL/lavoratori, è stato modificato in un modo che indubbiamente gioca a favore dell’espansione della disciplina dei contratti di lavoro a termine diretti.

Nondimeno, sono da definire, con cura e nei dettagli, gli effetti di tale espansione.

In virtù dell’art. 34, co.2, è estesa alle APL e ai lavoratori che siano parti di rapporti di lavoro a tempo determinato la disciplina dettata per i contratti a termine diretti, disciplina in cui rientra l’art. 19, comma 2, dedicato in particolare alla successione di contratti a termine e alla limitazione della complessiva durata.

Ne deriva che, fatte salve diverse disposizioni dei contratti collettivi e con l’eccezione delle attività stagionali (di cui all’art. 21, coma 2, sempre del d.lgs. 81/2015), ogni singola APL non può intrattenere con lo stesso lavoratore rapporti di lavoro a termine per una durata complessiva che superi 24 mesi, pena la trasformazione in contratto a tempo indeterminato dalla data del superamento del limite.

Fin qui nessun dubbio: l’art. 19, co. 2, si rivolge alle parti del contratto di lavoro a termine diretto; la APL e il lavoratore da somministrare sono parti di un contratto di lavoro a termine; l’estensione delle regole dettate in prima battuta per un istituto ad un diverso istituto, disposta dall’art. 34, co. 2, ha modo di operare senza alcun ostacolo.

Tutt’altro che pacifici sono gli effetti da riconnettere all’ulteriore previsione dell’art. 19, co. 2, secondo la quale nella quantificazione del periodo complessivo di successione di contratti a termine, da non superare, si deve tener conto non solo dei contratti diretti a termine ma anche dei periodi di missione svolti fra lo stesso datore di lavoro, nella veste di utilizzatore, e il lavoratore somministrato nell’ambito di una somministrazione di lavoro a tempo determinato.

Ebbene, tale previsione è rivolta al datore di lavoro direttamente parte di contratti a termine; in essa la somministrazione è considerata solo per attribuirle un ruolo ben circoscritto: concorrere alla determinazione del periodo di durata complessiva massima che il datore di lavoro, per quanto concerne i contratti a termine diretti, è incentivato a non travalicare.

Nell’art. 19, co. 2, come del resto in tutto l’art. 19, non si rinviene una regola secondo la quale anche i contratti a termine concorrono a saturare il limite che incontrano le APL come datrici di lavoro.

Pensare che si possa “creare” questa ulteriore regola facendo perno sull’art. 34, comma 2, è ostacolato dalla circostanza che nell’art. 19, co. 2, la somministrazione è considerata al circoscritto fine di cui sopra.

L’art. 34, co. 2, rinvia alle disposizioni sui contratti a termine diretti e, quindi, si dà coerente - e non parziale - seguito a tale rinvio limitandosi a prendere atto solo di quanto l’art. 19, co.2, prevede espressamente.

Il risalente orientamento ministeriale, che si è prima ricordato, è forse più attuale di quanto possa apparire a prima vista.

Pur nella notevole evoluzione normativa registratasi, è sopravvissuta una costante.

In base all’art. 5, co. 4-bis, del d.lgs. n. 368/2001, come modificato dall’art. 1, co. 9 lett. i), della l. n. 92/2012, i periodi di missione, inerenti alla somministrazione a tempo determinato, concorrevano alla saturazione del periodo complessivo di fruibilità di rapporti di lavoro a termine diretti; la stessa regola è sostanzialmente rimasta ferma nella versione inziale e anche in quella vigente dell’art. 19, co.2.

Per questo, la sicura fondazione delle regola inversa - i periodi di esecuzione di contratti di lavoro a tempo determinato concorrono ad esaurire il periodo massimo complessivo oltre il quale, ove si continui, opera la trasformazione in rapporto a tempo indeterminato a carico della APL - richiederebbe qualche argomento in più rispetto a quello che si ritrova nella circolare.

Mettendo in dubbio quanto in essa sostenuto, del resto, non si contraddice la ratio complessiva del decreto che sicuramente persegue la finalità di limitare il ricorso ai contratti a termine.

La coerenza fra la finalità generale perseguita e la normativa che si ricava dal decreto, anche a tralasciare quanto asserito nella circolare, è comunque assicurata dalla novità rappresentata dal limite legale di carattere numerico di cui all’art. 31, co. 2, del d.lgs. 81/2015 come riformulato dal decreto. Disposizione, quest’ultima, che si preoccupa della compresenza di rapporti a termine diretti e indiretti nella stessa azienda e che, quindi, può essere anche vista come la fonte che regola esaustivamente le relazioni fra i due istituti (diversi - è bene non dimenticarlo - già nella normativa comunitaria) e tanto più capace di occupare la scena in quanto fissa un espresso limite quantitativo alla somministrazione a tempo determinato.

E’ utile pertanto che, sulla conclusione adottata dalla circolare, che in qualche modo fa da premessa a quella che si è considerata nel precedente paragrafo (nonostante che le due questioni vengono trattate in ordine inverso nella circolare), le riflessioni e le verifiche continuino, anche in considerazione delle ricadute pratiche che sono in gioco.

E’ apprezzabilissimo lo scopo - enunciato dalla circolare - della uniforme applicazione della nuova disciplina.

Sennonché, le circolari “… non producono alcun <diritto vivente=""> che vincoli … nella interpretazione delle norme …” (Corte cost. n.188/1998; Cass. n.12911/2017) e la diffusa percezione della ragionevolezza degli argomenti a sostegno delle tesi sostenute gioca un ruolo non secondario nella conformazione delle concrete scelte operative dei vari soggetti interessati. </diritto>

Prof. Avv. Angelo Pandolfo - Fiedfisher