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Il difficile raccordo tra adempimenti contrattuali e restrizioni Covid-19


contratto: adempimenti contrattuali
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Il susseguirsi dei DPCM, in questo periodo, impone una modifica dei comportamenti da parte delle aziende (e segnatamente delle persone fisiche) chiamate ad adottare misure di contenimento del contagio.

La doverosità di un simile allineamento delle condotte è indiscutibile. Può accadere però che l’osservanza dei DPCM impedisca poi il corretto adempimento di prestazioni contrattuali in precedenza assunte dalle parti.

Quindi cosa fare? È giusto disattendere l’obbligazione contrattuale in forza di un interesse superiore?

La problematica è stata risolta con il recente DL 17 marzo 2020, n. 18 ai sensi del quale:

" Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.  (art. 91)

La norma, dunque, prevede che il rispetto delle misure di contenimento possa essere oggetto di valutazione da parte dell’autorità giudiziaria, eventualmente adita, ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore per mancato o ritardato adempimento.

Il legislatore, nell’opera di bilanciamento tra interesse collettivo al contenimento del contagio e interesse individuale delle parti contrattuali, fa ragionevolmente prevalere il primo sul secondo. Tuttavia a voler contenere gli effetti di tale prevalenza, introduce il contrappeso dell’esonero di responsabilità. Sicché il debitore che, in osservanza delle disposizioni normative, contravvenga al rispetto degli obblighi contrattuali precedentemente assunti, quand’anche fosse convenuto in giudizio non può essere condannato al risarcimento del danno. Chiaro è che la sentenza conclusiva del giudizio dovrà accertare un nesso causale tra l’osservanza normativa e l’inadempimento contrattuale.

Il principio espresso in questa norma è già noto nella disciplina civilistica. Definito dagli operatori di diritto come “factum principis”, esso ricomprende qualsiasi atto promanato dall’autorità legislativa, amministrativa o giudiziaria.

Tuttavia, come più volte segnalato dalla giurisprudenza (v. S. Cass. 11914/2016), il principio non opera in maniera automatica. Ragion per cui l’atto in sé e per sé considerato non sempre esonera dalla responsabilità il debitore che non adempia o ritardi l’esecuzione della prestazione. Affinché il factum principis possa dirsi operativo quale causa escludente la responsabilità occorre vi siano due requisiti:

- Estraneità

È elemento imprescindibile che l'ordine o il divieto dell'autorità si configuri come un fatto totalmente estraneo alla volontà dell'obbligato;

- Ordinaria diligenza del debitore

È necessario che il debitore si adoperi, secondo l’ordinaria diligenza, a porre in essere tutti i comportamenti idonei a rimuovere la resistenza della pubblica autorità (il factum principis). In caso contrario si riterrà sussistente la responsabilità del debitore per avervi colposamente dato causa.

- Imprevedibilità

Il debitore non può, in ogni caso, invocare l'impossibilità della prestazione in forza di un provvedimento dell'autorità, laddove questo fosse ragionevolmente prevedibile secondo la comune diligenza.

In conclusione, nella situazione attuale ricorrono evidentemente i requisiti di estraneità ed imprevedibilità dei provvedimenti. Il problema, forse, è quello di comprendere se il debitore ha agito secondo l’ordinaria diligenza, ciò che impone l’accertamento caso per caso. Ed è proprio questa considerazione che ha indotto il Governo ad utilizzare la dicitura “è sempre valutata”, lasciando intendere che l’adozione delle misure di contenimento non esonera automaticamente il debitore da responsabilità contrattuale, ma viceversa è suscettibile di un previo accertamento che valuti il nesso causale tra adozione delle misure e inadempimento contrattuale.

ACDR