Casse e fondi sanitari

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Autonomia delle casse previdenziali : il non condivisibile orientamento ministeriale alla luce della Corte Costituzionale n. 7/2017


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1.Un intervento legislativo che incide sull’autonomia delle Casse 

La sentenza della Corte costituzionale n. 7/2017 ha avuto un seguito che è da raccontare, per ragioni di carattere sostanziale ma anche di natura istituzionale. 

Il punto di partenza è legislativo ed è riconducibile al decreto legge n.95/ 2012 (l. conv. n.135/2012), che obbliga le Casse di previdenza del decreto legislativo n. 509/1994 ad adottare interventi di razionalizzazione della spesa per consumi intermedi e a riversare allo Stato i risparmi realizzati nella misura predeterminata dallo stesso decreto (art.8, comma 3). 

Il passaggio dal piano legislativo a quello giudiziario è merito della Cassa di previdenza dei dottori commercialisti, che ricorre al TAR per il Lazio chiedendo l’annullamento dei provvedimenti applicativi del predetto decreto. 

La sentenza del TAR non accoglie il ricorso e da qui l’impugnazione della stessa presso il Consiglio di Stato. 

I motivi di appello fatti valere dalla Cassa non sono affatto di poco rilievo, venendo anche prospettata una questione di legittimità costituzionale delle disposizioni del decreto legge per il fatto che impone il trasferimento di risorse dalle Casse al bilancio statale. 

Il Consiglio di Stato fa propria la questione prospettata, dichiarando rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del decreto. 

2. L’intervento correttivo della Corte costituzionale e la posizione del Ministero 

La parola passa così alla Corte costituzionale che produce un’ampia sentenza - n. 7 dell’undici gennaio 2017 - pervenendo alla dichiarazione della illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3. 

Ne deriva la più che ragionevole aspettativa che gli effetti della sentenza si propaghino nell’intera area delle Casse di previdenza. 

L’aspettativa è, però, contrastata dal Ministero dell’economia, che dà rilievo al passaggio del dispositivo della sentenza che fa riferimento alla Cassa di previdenza - quella dei dottori commercialisti - che è stata parte del procedimento che alla fine ha portato il Consiglio di Stato a promuovere il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 83. 

Il Ministero, in una risposta ad una interrogazione parlamentare del 7 giugno scorso, si impegna anche a catalogare la sentenza quale “sentenza interpretativa di accoglimento con formula di illegittimità parziale della normativa impugnata”

In sostanza, per il Ministero, la sentenza non opera con effetti erga omnes e vale esclusivamente per la Cassa che è stata ricorrente, con la conseguenza che alle altre Casse non sarebbero da restituire le somme che le stesse hanno trasferito al bilancio statale in attuazione dell’art. 8, comma 3.

Per varie ragioni, la presa di posizione del Ministero non è convincente. 

Secondo l’art. 136, comma 1, della Carta costituzionale, “Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. 

A sua volta, la legge n.87/1953 ribadisce che “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione” (art.30, comma 3). 

Questo è, dunque, quanto previsto riguardo alle sentenze che affermano l’illegittimità costituzionale, proiettandone gli effetti su tutte le situazioni a cui è - o, meglio, era - rivolta la norma della quale è accertata l’invalidità. 

A questo tipo di sentenze si può guardare come ad un ordine a non applicare più la norma (dichiarata) illegittima e questo non solo con riferimento ai rapporti futuri ma anche a quelli sorti quando la norma non era stata ancora dichiarata incostituzionale. 

Ordine, è il caso di ribadirlo, avente come destinatari tutti i soggetti tenuti all’applicazione delle leggi e, in primo luogo, le pubbliche amministrazioni. 

Il Ministero, nel caso di specie, pensa di potersi sottrarre all’ordine derivante dalla sentenza n. 7/2017 considerando “parziale” sotto il profilo soggettivo la sentenza, ma questo è contraddetto da affermazioni presenti nella stessa risposta alla interrogazione parlamentare. 

Osservare, come viene fatto nella risposta, che la platea dei destinatari della norma oggetto di sindacato costituzionale è costituita da tutti gli enti dotati di autonomia finanziaria e non destinatari di trasferimenti dal bilancio dello Stato significa abbracciare tutte le Casse di previdenza. 

In assoluta mancanza di un benchè minimo motivo per considerare la sussistenza dell’illegittimità costituzionale in un solo caso e non per tutte le Casse, l’osservazione che è anche del Ministero porta ad una sola conclusione: la sentenza vale per tutte le Casse, come risulta coerente alla luce degli atti depositati dalla Cassa ricorrente, dell’ordinanza del Giudice a quo e, soprattutto, della sentenza della Corte che, nella motivazione, sviluppa considerazioni e valutazioni giuridiche tutte, nessuna esclusa, valevoli per l’insieme delle Casse di previdenza. 

Osservazione a monte appropriata, dunque, e conclusione del Ministero non condivisibile, anche perché fa apparire la sentenza della Corte come fonte di una ingiustificata diversità di trattamento di situazioni identiche. 

Il modo giusto di intendere la sentenza, in effetti, non isola il dispositivo, ma lo legge sulla base dell’insieme delle argomentazioni espresse dalla sentenza stessa. 

3. Il dovere di una interpretazione della legge conforme alla Carta costituzionale 

Il Ministero è parte molto importante della pubblica amministrazione che, per dirla con le parole di Costantino Mortati, è tenuta a concorrere “ … all’autoritaria attuazione a casi concreti dell’obiettivo ordine giuridico …”. 

Per questo, il Ministero, quand’anche voglia tenere ferma la considerazione della sentenza che ha già espresso, almeno dovrebbe far propria una interpretazione/applicazione della normativa legislativa conforme ai principi evidenziati dalla Corte con la sentenza n. 7/2017 e cessare così di tenere un comportamento in conflitto con i medesimi principi senza ombra di dubbio applicabili a tutte le Casse. 

Prof. Avv. Angelo Pandolfo, Partner Fieldfisher